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Channel: MALAGIUSTIZIA – Andrea Mavilla
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Ragazzo, chi ti ha ridotto così? “SONO STATI I POLIZIOTTI DEL COMMISSARIATO DI ANZIO.

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Cari amici,
è proprio vero che in Italia, riuscire ad avere un processo imparziale e corretto – soprattutto quando si tratta di valutare presunte azioni illegali di appartenenti alle forze di polizia – è un’impresa ardua.

Per chi non fosse informato, l’8 settembre, durante un diverbio avvenuto in provincia di Roma – Anzio – un giovane, Stefano Brunetti, viene fermato e portato in all’interno della Questura di Anzio. 

Una volta giunto all’interno della Questura, Stefano Brunetti viene rinchiuso all’interno di una delle tre camere di sicurezza. Secondo la versione rilasciata dai poliziotti, Stefano Brunetti, una volta rinchiuso all’interno della camera di sicurezza, si rende protagonista di atti di autolesionismo tanto da costringere gli agenti a chiamare il medico di guardia per sedarlo.

Stefano, intorno alle due di notte viene condotto nel carcere di Velletri, ma il giorno dopo viene ricoverato in pronto soccorso per le gravi condizioni riportate.

”Ragazzo – esclama il Dott. Claudio Cappello – chi ti ha ridotto così?”.

A questo punto Stefano Brunetti risponde:

“Mi hanno menato le guardie del commissariato di Anzio”.

Stefano Brunetti, qualche ora dopo l’affermazione fatta al Dott. Claudio Cappello, muore per le gravi lesioni riportate.

Il Pm Dott. Luigi Paoletti a seguito della denuncia avvia un’indagine che dura due anni, rinviando a giudizio Salvatore Lupoli, Massimo Cocuzza, Daniele Bruno e Alessio Sparacino. Tutti Poliziotti presso la Questura di Anzio:

“Gli imputati sono accusati di aver cagionato in concorso tra loro la morte di Brunetti Stefano tratto in arresto dai medesimi e trattenuto presso le camere di sicurezza del commissariato fino all’accompagnamento in carcere, con atti diretti a commettere il delitto di percosse o lesioni personali, segnatamente colpendolo più volte con un mezzo contundente naturale o non naturale… con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di poteri o comunque violazioni di doveri inerenti a una pubblica funzione”.

Il dott. Marella, nonché consulente medico legale della procura di Velletri, dopo aver effettuato l’autopsia sul cadavere di Stefano Brunetti, rivela che:

“le lesioni sono state prodotte nelle 18-20 ore precedenti il decesso ovvero nell’arco di tempo della sua detenzione nella camera di sicurezza del commissariato. La morte è stata causata da una emorragia interna provocata dalla rottura di due costole.

Il processo si è concluso con l’assoluzione dei quattro agenti di Polizia – per non aver commesso il fatto – e confermando quindi la tesi dell’autolesionismo.

D’altronde, sono centinaia di casi in cui appartenenti alle Forze Dell’Ordine – inquisiti, condannati e poi arrestati – per svariati reati, non solo non sono stati rimossi dal servizio, ma in certi casi han fatto addirittura carriera.

Andrea Mavilla.


Le stuprava all’interno della Caserma dei Carabinieri. La pena per il maresciallo Gatto è da rideterminare.

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Cari amici,
la storia del maresciallo dei Carabinieri, Massimo Gatto, nonché responsabile della Stazione dei Carabinieri di Parabiago – Milano – inizia nel gennaio 2011.

La notte dell’11 gennaio 2011, veniva fermata e trattenuta – all’interno della camera di sicurezza della stazione dei Carabinieri di Parabiago – una giovane polacca. La donna era stata arrestata per il furto di due consolle Nintendo in un supermercato di Parabiago.

Quella stessa notte, la giovane donna sarebbe stata prima palpeggiata dal maresciallo, che avrebbe finto di perquisirla nonostante l’avesse già fatto un militare donna; poi in più occasioni sarebbe stata trascinata nei bagni o in luoghi appartati della caserma e violentata ripetutamente.

Il lunedì successivo - 14 gennaio 2013 – la ragazza si reca presso gli uffici della “Polizia di Stato” per raccontare e denunciare quanto accadutogli all’intero della Caserma dei Carabinieri di Parabiago. I poliziotti – increduli di quanto verbalizzatoallertato immediatamente  il pubblico ministero di turno, davanti al quale la 19enne aveva descritto in modo dettagliato tutto l’accaduto e i luoghi in cui sarebbero avvenute le violenze e che non avrebbe potuto conoscere per il solo fatto di essere stata trattenuta in camera di sicurezza.

A questo punto parte un’indagine – affidata al pm Cristiana Roveda – del dipartimento dei reati contro i soggetti deboli, che aveva sentito tutti i carabinieri della stazione in servizio nelle 48 ore in cui la 19enne è stata trattenuta. 

I militari avevano confermato di aver visto il maresciallo perquisire la ragazza e farla uscire dalla camera di sicurezza contro ogni regola. Qualcuno aveva anche riferito di aver ricevuto nel tempo le confidenze di altre donne che in situazioni diverse si sarebbero lamentate di essere state molestate o comunque di essere state oggetto di attenzioni indesiderate, ma che, invitate a sporgere denuncia, non lo avevano mai fatto.

Alcune di queste donne sono poi state identificate e a loro volta sentite dalla Dott.ssa Cristina Roveda. 

Si tratta di un’italiana che era andata dai carabinieri per sporgere una denuncia per furto, di un’altra donna che era andata a chiedere aiuto per la sua difficile situazione coniugale, di due sorelle che si erano rivolte in tempi diversi ai militari per una denuncia e per la notifica della sospensione della patente, di una prostituta rumena che sarebbe stata più volte ricattata sessualmente dal maresciallo dopo essere stata fermata per un controllo in strada e di un’altra rumena andata a Parabiago per denunciare un furto che poi si sarebbe vista comparire Gatto a casa in borghese.

Altre donne – prese dal coraggio - hanno poi denunciato fatti analoghi avvenuti a partire dal 1998, ma sono ormai prescritti e quindi non più perseguibili.

Nel 2013, il tribunale di Milano condanna il Maresciallo Gatto a sedici anni e un mese di reclusione. Colpevole di almeno tredici casi – accertati – di violenza sessuale, tutti avvenuti fuori e dentro la caserma di Parabiago.

Naturalmente, il Maresciallo Massimo Gatto è stato sottoposto agli arresti domiciliari.

Inoltre, la Cassazione, infatti, ha rinviato la sentenza d’appello (sedici anni e un mese) emessa nel dicembre 2013. I giudici — come riportato da Il Giorno — dovranno rideterminare il peso del reato di concussione di cui l’ex militare si sarebbe macchiato. Ovvero: aver sfruttato la sua posizione di membro dell’Arma per intimidire le donne su cui riversava le sue attenzioni.

D’altronde, è stato – scientificamente – dimostrato che si può sopravvivere tre giorni senza acqua, due mesi senza cibo e tutta la vita senza giustizia.

Andrea Mavilla.

Prima lo arrestano, poi lo distruggono e successivamente lo rilasciano perché INNOCENTE.

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Cari amici,
il 18 marzo del 2015, intorno alle ore 12:30, viene compiuto un attacco terroristico al museo nazionale del Bardo di Tunisi, dove morirono 24 persone, di cui quattro italiane.

All’indomani dell’attacco, il primo ministro del governo tunisino Habib Essid ha reso nota l’identità di uno dei due “possibili” terroristi, entrambi di nazionalità tunisina: Yassine Labidi, originario di un quartiere popolare di Tunisi, e Abdelmajid Touil, originario di Kasserine.

Il – 20 maggio 2015 – viene arrestato in Lombardia, precisamente a Gaggiano, Abdelmajid Touil, un ventiduenne, di origine Marocchina.

In Francia, le persone che corrispondono al nome di Abdelmajid Touil, sono 3; in Inghilterra 4; in Germania 3; in Spagna 9; in America addirittura 21.

Beh, in Italia, di Abdelmajid Touilce n’è solo uno.

A questo punto, i servizi segreti italiani e la Digos – Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali – decidono di fermare ed arrestare – con l’accusa di terrorismo – l’unico Abdelmajid Touil, presente in Italia.

Dopo 16 minuti dal suo arresto, la stampa Nazionale italiana afferma:

ARRESTATO IN ITALIA UNO DEGLI AUTORI DELLA STRAGE DI TUNISI“.

Insomma, la faccia del 22enne, di origine Marocchina, dal nome Abdelmajid Touil, finisce su tutte le prime pagine dei giornali nazionali.

Anche la Lega Nord insorge:

“ARRESTATO A MILANO IL BASTARDO TERRORISTA CHE HA COMPIUTO LA STRAGE DI TUNISI”

Ebbene si, dopo 6 mesi di ingiusta detenzione, la Procura di Milano – che ha svolto le indagini –  ha stabilito che:

Abdelmajid Touil, il giorno dell’attentato non risultava essere in Tunisia. L’uomo, da tempo in Italia, risultava essere invece all’interno dell’istituto scolastico – Cuciniello – di Trezzano, per seguire e di conseguenza apprendere un corso di lingua Italiana. La conferma si può avere non solo dalla famiglia, bensì anche dai docenti scolastici e dal Preside dello stesso Istituto scolastico.”

Insomma, le autorità di Polizia Francesi, Inglesi, Spagnole ed anche quelle Americane, ancora prima di fermare, arrestare e sbattere la faccia di un – presunto terrorista qualsiasi - su tutte le loro prime pagine, sembrerebbe che abbiano svolto delle regolari indagini, portando gli inquirenti a capire che i loro “Abdelmajid Touil erano letteralmente estranei ai fatti accaduti a Tunisi.

In Italia, invece, funziona così:

Le autorità di Polizia, prima arrestano un “presunto terrorista qualsiasi“, dopo lo schiaffano su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali e solo dopo aver appreso che il soggetto fermato non corrispondeva al reale sospettato, dispongono così un “risarcimento milionario” per ingiusta detenzione, naturalmente pagato dalle tasche di noi contribuenti e non dalle tasche degli inquirenti che, ancora prima di arrestarlo e sbatterlo su tutti i giornali, avrebbero dovuto quantomeno indagare e successivamente arrestare il colpevolee non un presunto qualsiasi.

Andrea Mavilla.

“Comincia lo sciopero della fame, così dimagrendo potrai mangiare meno contributi pubblici”. Rinviato a giudizio pensionato Ligure.

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Cari amici,
si chiama Vincenzo Quarenghi, pensionato di 67 anni, che qualche giorno fa è stato rinviato a giudizio per diffamazione aggravata. A querelarlo è stato l’onorevole Rosario Monteleone, eletto dal 2010 con l’Udc.

Il motivo? Il Sig. Vincenzo Quarenghi, dopo aver appreso che l’onorevole Monteleone era stato coinvolto nell’inchiesta – spese pazze – scontrini impresentabili che decine di politici, appartenenti ad altrettanto variegati partiti, si erano fatti rimborsare con denaro pubblico, includendo spese ardite come il cibo per gatti, il parrucchiere, la biancheria e le bottiglie di vino francese.

Aveva deciso di criticare – all’interno della Pagina Facebook dell’onorevole Monteleone – quanto segue:

“Vergognati, vergognati, una persona con sani principi morali si dimette da ogni carica e collabora con la giustizia oppure, se pensa d’essere innocente, comincia lo sciopero della fame, così dimagrendo potrà mangiare meno contributi pubblici”.

Ne giorni scorsi, Quarenghi ha ricevuto un avviso di garanzia per diffamazione aggravata. Peccato che la Procura Della Repubblica di Genova ne ha chiesto il giudizio per “peculato e truffa nei confronti dello Stato” a numerosi esponenti politici, fra gli indagati e forte rischio di diventare imputati c’è, appunto, l’onorevole Rosario Monteleone.

D’altronde, in Italia le leggi sono come le tele di ragno, in cui solo i deboli restano inviluppati, mentre i potenti le spezzano e se ne liberano.

Andrea Mavilla

Omicidio Yara: “I CARABINIERI HANNO FALSIFICATO IL VIDEO DEL FURGONE DI BOSSETTI”

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Cari amici,
sembrerebbe che il metodo avviato dagli inquirenti per incastrare e condannare Massimo Bossetti – presunto assassino di Yara Gambirasio - sia quello della sua stessa distruzione psicologica. 

Sorge il sospetto che gli inquirenti debbano a tutti i costi trovare un colpevole e non IL colpevole, il tutto per giustificare il polverone mediatico e l’ingente spesa per coprire le indagini che hanno coinvolto Massimo Bossetti, unico indagato per l’omicidio di Yara Gambirasio.

Ebbene, dopo la notizia dei “peli” – non corrispondenti a Bossetti – ritrovati sugli indumenti di Yara, oggi arriva l’ennesima notizia: 

Il video del furgone di Bossetti nei pressi della palestra, sarebbe stato “FALSIFICATO”.

“Quel documento è stato confezionato dai Ris – scrive Luca Talese – e diffuso ai media, ma che incredibilmente non compare nel fascicolo processuale. E subito dopo ho scoperto un secondo elemento che non sono come definire altrimenti: questo filmato, immaginifico e decisivo è un FALSO. Un filmino tarocco”.

A svelare il mistero è stato il comandante dei Ris, Giampietro Lago.

L’avvocato Salvagni – legale di Massimo Bossetti – comincia chiedendo al Colonnello Lago, come si è arrivati all’identificazione – certa – del furgone di Bossetti. Poi chiede anche in quali fotogrammi sia inequivocabilmente certo che il furgone sia quello di Bossetti. 

Ed è a questo punto che il Colonnello Lago commette il suo vero passo falso, ammettendo che nella maggior parte dei fotogrammi non c’è nessuna certezza che sia quello di Massimo Bossetti.

Colonnello Lago – esclama l’avvocato di Bossetti – abbiamo visto questo video proiettato migliaia di volte. Perché se adesso lei ci dice che solo uno di questi furgoni è stato effettivamente identificato come quello di Bossetti?

Sommare un fotogramma con il furgone di Bossetti con un altro fotogramma di un altro furgone è come sommare pere e banane. Non crede?”

Risponde il Colonnello Lago:

Questo video è stato concordato con la procura – risponde il colonnello Lago – a fronte di pressanti e numerose richieste di chiarimenti. E’ stato fatto per esigenze di comunicazione. E’ stato dato alla stampa.

Vedete, amici, non trovo corretto che un uomo  debba stare – 3 anni in galera – sulla base di soli indizi. Gli inquirenti avrebbero dovuto  svolgere indagini accurate e precise, in modo da raccogliere prove inoppugnabili. 

D’altronde, non è la prima volta che la “giustizia” condanni innocenti o presunti colpevoli. Questo per far credere a noi tutti che giustizia fu fatta.

Andrea Mavilla

Siete troppo poveri per crescere i figli. “LASCIATEMI IO VOGLIO STARE CON LA MAMMA E BABBO”

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Cari amici,
hanno aspettato che uscissero per andare a prendere i figli all’istituto delle suore non lontano da casa loro, ma appena arrivati raggiunto l’istituto, una suora comunica loro che Romeo e Gabriel, 6 e 3 anni, sono stati portati via dalla Polizia.

A questo punto, i coniugi BARLI corrono a casa, ma davanti alla loro porta trovano i sigilli e un avviso con su scritto:

Si certifica che alle 16.42 si sono presentati in via Ludovico d’Aragona la responsabile dei servizi sociali del Comune, la dirigente della polizia municipale, un ispettore e un paio di vigili» per eseguire lo sfratto.”

Dietro quella porta sono rimasti anche i due loro gatti: “ci hanno tolto i figli e anche la casa — hanno detto in lacrime Stefano e Catiuscia — potevano ammazzarci, ci avrebbero fatto meno male.

L’ultimo atto della storia della famiglia Barli di Pistoia è stato scritto, a tradimento, martedì pomeriggio, su ordine del Comune di Pistoia e del tribunale dei minori di Pistoia.

Secondo la relazione fatta dagli Assistenti Sociali, “i coniugi  Barli, non avrebbero le competenze adatte per fare i genitori perché troppo poveri per garantire la la crescita ed il sano sviluppo dei loro figli.”

Insomma, Romeo e Gabriel, 6 e 3 anni, sono stati “sequestrati” su ordine dello Stato e rinchiusi all’interno di una comunità minorile.

Vedete, amici, la storia della famiglia Barli è la storia di molte famiglie che si vedono strappare via i loro figli. Sono oltre 32mila i bambini che vengono chiusi nelle comunità, spesso per cause non del tutto giustificate.

Pensate che ogni giorno vengono “sequestrati” almeno 80 bambini, li rinchiudono per due anni in media all’interno di strutture minorili e allo Stato costano 200 euro al giorno.

Oggi la mia comprensione va a queste famiglie distrutte, il mio disprezzo a quelle persone che l’hanno attivamente causata. Forse andrebbero rivisti i criteri con i quali vengono prese simili devastanti decisioni.

Andrea Mavilla.

Ruba per sfamare il figlio di 4 anni. Confermata la condanna a sei mesi di carcere.

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Cari amici,
si chiama Filippo N., 34enne, disoccupato e padre di un bambino di 4 anni. Filippo lavorava per un’azienda di tessuti – fallita – qualche mese fa per via della crisi. 

Da quando Filippo si è trovato senza lavoro e di conseguenza senza soldi non sa più come cavarsela. Dopo mesi e mesi in cerca di un lavoro ed un figlio di quattro anni da crescere, Filippo non ha avuto alternativa. Filippo decide così di appropriarsi in maniera indebita di una cartone di latte – valore € 2,50 –  un pezzo di formaggio – valore € 2.95 – ed una bottiglia d’olio – valore € 4.80 – per un valore totale di € 10,25.

Il personale si accorge di quanto sta accadendo e decidono di chiamare la polizia, ignaro del fatto, Filippo si avvicina all’uscita del supermercato ma viene fermato dagli agenti. una volta portato all’interno del commissariato di zona, Filippo confessa: 

Ho rubato perché a casa mi aspetta un figlio di 4 anni da sfamare, non sono un ladro ma sono disoccupato e senza soldi, non abbiamo nemmeno un pezzo di pane da mettere sotto ai denti, oggi mi trovo qui a rubare un pezzo di formaggio per mangiare“.

Filippo viene processato e condannato a 6 mesi di carcere, da scontare a Regina Coeli.

Vedete, amici, non voglio giustificare chi ruba, ma permettetemi di spezzare una lancia a favore di tutta quella gente disperata che a causa della crisi economica non ha letteralmente cosa mettere in tavola. Quella gente a cui non manca la voglia di lavorare e guadagnarsi da vivere, ma a cui manca la possibilità di farlo.

Cari amici, il gesto di Filippo è solo il simbolo di una parte dell’Italia che è ridotta veramente in situazioni economiche drammatiche, in totale dissonanza con il denaro pubblico sprecato e male usato, denaro pubblico che potrebbe essere messo a disposizione di quelle povere persone che non hanno cosa mangiare all’ora dei pasti.

A quanto pare, in questo dannatissimo Paese sono sempre i poveri a pagare. Non riesco proprio a capire da dove prendano tutto questo denaro.

Andrea Mavilla

Condannato a 5 anni di reclusione l’uomo che sparò ai ladri. Ermes muore d’infarto.

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Cari amici,
era stato condannato a 5 anni di reclusione e al pagamento di 135 mila euro, Ermes Mattielli, 62 anni, l’uomo che sparò e ferì due “nomadi” intenti a rubare all’interno della sua proprietà.

Blu Helt di 36 anni e Cris Caris di 31, i ladri che la notte del 13 giugno furono feriti da Ermes Mattielli, verranno risarciti direttamente dallo Stato Italiano.

A spiegare la situazione è Maurizio Zuccollo, l’avvocato di fiducia di Ermes Mattielli.

“Per la legge a pagare il risarcimento saranno gli eredi. Peccato che l’uomo non ha discendenti alcuni e neppure fratelli e sorelle. In questo caso sarà lo Stato a intervenire, con dilatazione dei tempi per il pagamento ai due nomadi beneficiari.”

Dopo la condanna  – spiega l’avvocato Maurizio Zuccollo – Ermes era molto provato, soffriva molto per la situazione. Viveva da solo, senza parenti e senza risorse economiche, si faceva bastare una piccola pensione d’invalidità “120 euro al mese“.

Ermes era preoccupato per il suo futuro – continua l’avvocato Maurizio Zuccollo - temeva che il tribunale potesse pignorargli la casa da un momento all’altro, questo perché non aveva  – 135 mila euro – da versare a favore dei due nomadi.

Vedete, amici, nella giustizia c’è sempre pericolo: se non per la legge, certo per i giudici.

Riguardo a te, Ermes, sono sicuro che otterrai giustizia nell’aldilà. In questo, purtroppo, hai conosciuto ed incontrato la legge.

Andrea Mavilla


Fermato dalla polizia e sospettato di essere uno spacciatore. Anton SI IMPICCA DALLA VERGOGNA.

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Cari amici,
si è impiccato all’interno della sua cameretta, Anton Alberti, 25enne, di Cremona.

La mattina dell’11 settembre, una pattuglia della Polizia – su segnalazione anonima – ferma un giovane ragazzo di nome Anton Alberti. I due agenti sono convinti che Anton sia uno spacciatore e per questo decidono di perquisirlo.

La perquisizione non porta a nulla, Anton, viene trovato impossesso di un pacchetto di chewing ed un mazzo di chiavi. A questo punto, i due agenti sono convinti che il giovane possa tenere la droga all’interno della propria abitazione.

Arrivati a casa di Anton i poliziotti – che nel frattempo sono diventati cinque per l’arrivo di un’altra pattuglia a supporto – procedono ad una perquisizione… Peccato che  all’interno della casa di Anton, non c’è alcuna traccia alcuna di droga o stupefacenti in generale.

A questo punto, i cinque agenti della Polizia decidono ugualmente di portano in Questura per “identificarlo”.

Nel frattempo la stampa locale – su segnalazione di uno degli agenti operanti - rimarcano la notizia, raccontando il fermo e la perquisizione di un noto spacciatore di nome Anton Alberti. Aggiungendo la falsa informazione del rinvenimento a casa dello stesso di sostanze stupefacenti.

Nel primo pomeriggio il giovane rientra a casa, apprendendo – prima dagli amici e poi dai genitori – di essere uno spacciatore. Anton cerca di spiegare che quanto diffuso è falso, respingendo tutte le accuse. Ma nessuno gli crede.

La mattina seguente, Anton viene trovato appeso all’interno della sua cameretta… nel vicino letto un biglietto:Non riesco a reggere tanta vergogna. Chiedo perdono ma non ero io lo spacciatore.

A poche ore dalla sua morte, la Questura di Crema fa sapere che Anton Alberti, il ragazzo morto suicida, era stato scagionato da tutte le accuse e scambiato – erroneamente – per uno spacciatore.

Per questa triste vicenda, tre poliziotti sono stati denunciati, indagati e successivamente condannati – ma non rimossi dal servizio – per falso ideologico e per avere violato il domicilio di un giovane, morto suicida dopo essere stato ingiustamente accusato di essere uno spacciatore.

D’altronde, non è la prima volta – e non sarà nemmeno l’ultima – che la polizia inventa più di quanto scopra.

Andrea Mavilla.

“Chi mi ha pestato in carcere abbia il coraggio di guardarmi in faccia”.

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Cari amici,
l’uomo che vedete in foto si chiama Giuseppe Rotundo, condannato in via definitiva a un anno e dieci mesi di reclusione per detenzione di dieci grammi di cocaina.

Giuseppe viene rinchiuso all’interno del carcere di Lucera, in provincia di Foggia. Tre agenti della polizia penitenziaria “racconteranno” di essere stati aggrediti da lui, così, senza un motivo. Inoltre, sosterranno anche che i lividi e le varie lesioni riscontrate su tutto il corpo di Giuseppe non sarebbero altro che il frutto di atti di autolesionismo.

Il giorno dopo, il detenuto Giuseppe Rotundo viene sottoposto a visita medica. Il personale medico, dopo aver medicato il detenuto, riferiranno al magistrato di turno quanto segue:

“La faccia del detenuto Giuseppe Rotundo appare piena di lividi e gonfia come un pallone. Il viso è irriconoscibile e presenta fratture ed ecchimosi su tutto il resto del corpo. Sono sincera, in tanti anni di attività all’interno nelle carceri Italiane, non ho mai visto un detenuto ridotto così.

I lividi su braccia, gambe e schiena, quei tagli sulla faccia, quel piede diventato color melanzana, l’occhio sanguinante, le cicatrici sulle guance. Sono tutte cose reali, fotografate, periziate e repertate dai medici. 

Il racconto di Giuseppe Rotundo, non è il solito racconto generico di un pestaggio. Perché, si sa, i pestaggi in carcere non esistono, sono solo pure invenzioni. Ma la violenza in carcere ha tante facce. Quella più oscura è quella sui detenuti, difficile da trattare, da dimostrare e persino da ipotizzare.

Quello che avviene all’interno del carcere resta chiuso tra quattro mura. Nessuno denuncia niente. O SI TROVA IL MODO PER FARGLI CAMBIARE IDEA.

Nello stesso carcere dove era recluso Rotundo, proprio qualche mese fa è morto un detenuto. Si chiamava Alberico Di Noia. Era dentro per piccoli reati. Gli restavano da scontare pochi giorni di prigione. Lo troveranno impiccato in cella.

La ricostruzione dell’Amministrazione penitenziaria non convince nemmeno il sindaco che per protesta proclama il lutto cittadino.

“Hanno voluto chiudere in fretta e furia il caso, non capisco perché – commenta con l’amaro in bocca il sindaco Giovanni Riontino -. Così come non capisco perché abbiano impedito alla famiglia di vedere il corpo per 24-48 ore. Non capisco perché una persona che deve uscire a giorni si impicca in cella? Conoscevo quel ragazzo, eravamo coetanei, non lo avrebbe mai fatto.”

Vedete, amici, nelle nostre carceri ogni anno muoiono più di 100 detenuti in circostanze misteriose. C’è chi muore a causa di un infarto, ma viene trovato con 8 costole rotte, due denti spaccati e il cranio spappolato; c’è chi muore a causa della malnutrizione, ma viene trovato con un occhio tumefatto, la mascella spaccata e la spina dorsale deviata; c’è anche chi muore a causa di un suicidio, ma viene trovato appeso ad un termosifone posizionato a 70 cm da terra.

Andrea Mavilla

Carabinieri: “Se ci cacciano dall’Arma andiamo a fare le rapine agli orafi” intercettazione shock a bordo di una volante.

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Cari amici,
Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco e Vincenzo Nicolardi, sono quattro Carabinieri – oggi – indagati per la morte di Stefano Cucchi, il 33enne, romano, morto dopo un fermo da parte degli stessi Carabinieri.

In una lunga “intercettazione ambientale” avvenuta a bordo dell’auto di servizio dei quattro Carabinieri – da me sopraindicatisi parla della notte in cui Stefano Cucchi fu fermato e portato in caserma.

“Quel magistrato è proprio un figlio di merda – afferma uno dei Carabinieri – ci vuole un buon avvocato, tipo quello di Berlusconi o quello di Sollecito – continua – in modo che se ci becchiamo una condanna a 5 anni di reclusione, ci aiuti ad ottenere comunque la pena sospesa.”

A questo punto un altro Carabiniere afferma: “Se ci condannato e poi ci rimuovono dal servizio andiamo a fare le rapine agli orafi… perlomeno guadagneremo giusto qualcosa di più.”

Illustre Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette,
il termine con cui mi rivolgo a lei, “ILLUSTRE“, non è del tutto casuale. Anzi… è come ho sempre pensato ed immaginato fosse l’Arma dei Carabinieri che lei, oggi, dirige in maniera illustre.

Come responsabile dell’Arma Dei Carabinieri – appunto – avrà senz’altro appreso le vergognose affermazioni fatte dai suoi militari – oggi – indagati per omicidio, sequestro di persona, falsa testimonianza e lesioni.

Vede, Comandante Generale Del Sette, è difficile non indignarsi sapendo che Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco e Vincenzo Nicolardi, dopo le pesantissime affermazioni - ottenute in maniera del tutto involontaria - prestino ancora oggi servizio nell’Arma dei Carabinieri.

E’ vero, lei, Comandante Del Sette, il 15 ottobre 2009 – data in cui fu ammazzato Stefano Cucchi – non può essere ritenuto responsabile di quel che accadde all’interno di quella caserma. Ma oggi che la verità processuale è sotto gli occhi di tutti, non può chiamarsi fuori. La prego, metta subito alla porta questi – delinquenti in divisa – che si sono macchiati di un crimine tanto orrendo e per questo non meritano di portare quella stessa divisa da lei – appunto – indossata in maniera illustre.

La prego ancora una volta. Li butti fuori a “calci nel culo” e ci aiuti a credere ancora nell’Arma Dei Carabinieri.

Un comune cittadino. Andrea Mavilla

Carabinieri: “9mila euro li teniamo noi, altrimenti ti mettiamo la droga in casa e arrestiamo te e tuo marito”.

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Cari amici,
Simone Chicarella, Eugenio Maietta e Carmine Ferrante, sono tre Carabinieri che in seguito a una perquisizione illecita, hanno sottratto “13mila euro”, dei quali solo 4mila erano stati denunciati nel verbale mentre 9mila erano finiti in tasca loro. 

Nell’abitazione della donna c’erano anche un grazioso portafogli Prada di colore rosa e una bella spilla Chanel con ramage e perle. Così uno dei tre ne ha approfittato per fare un regalo alla fidanzata. E non volendo, forse, passare per spendaccione l’ha avvisata della provenienza. Così ora anche lei è indagata. Ricettazione.

Hasnja Zahirovic, 37 anni, non è di certo una “Santa”… in passato ha avuto alcuni problemi con la giustizia per piccoli furti… ma non accetta di essere stata raggirata e truffata da chi, in realtà, la legge avrebbe dovuto rispettarla.

“Mi trovavo in ospedale - racconta la donna – con la flebo ancora in vena. Squilla il cellulare. Era mio marito che mi avvisava del fatto che tre Carabinieri erano entrati in casa con la scusa di una perquisizione e poi si erano portati via - 13 mila euro – ed alcuni oggetti di valore.  A questo punto – continua la donna – chiedo di firmare e lasciare immediatamente l’ospedale.
Una volta arrivata a casa il Maresciallo mi dice: “devi venire con me in caserma” ma per strada si ferma e mi minaccia: “Ascoltami bene – afferma il maresciallo – 9mila euro li teniamo noi, altrimenti ti mettiamo la droga in casa e arrestiamo te e tuo marito”.

Secondo la Procura, i tre militari dell’Arma erano certi del fatto che una donna con una condanna per furto non avrebbe mai esposto alcuna denuncia per paura di non essere creduta. Adesso i militari sono formalmente accusati di falso e peculato. Per loro è stata fissata l’udienza del tribunale del Riesame che deciderà le loro sorti.

Vedete, amici, se fosse possibile fare un calcolo accurato dei mali che i regolamenti delle Forze Dell’Ordine  generano, e di quelli che prevengono, il numero dei primi sopravanzerebbe, in tutti i casi, quello degli ultimi.

Andrea Mavilla

Così i Poliziotti di San Basilio, Roma, mi hanno ripetutamente stuprato.

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Cari amici,
si chiamano Sandro Contrado e Alessandro Stronati, i due poliziotti del commissariato di San Basilio, Roma, accusati di stupro e sequestro di persona.

A quanto sembra, i due Poliziotti imponevano – sotto forma di minaccia – prestazioni sessuali dalle donne fermate e successivamente portate all’interno del Commissariato per “ulteriori accertamenti”.

Al momento gli episodi contestati sono due: la prima vittima aveva 18 anni all’epoca dei fatti. La ragazza, romana, era stata fermata assieme ad altri amici perché in possesso di uno spinello. Una volta condotta in commissariato e isolata dagli altri ragazzi, la ragazza – secondo la sua denuncia, presentata nel maggio scorso su insistenza della madre – sarebbe stata costretta dal poliziotto a un rapporto sessuale.

L’accusa contestata al sostituto commissario – ora ai domiciliari – è di aver approfittato dello stato di soggezione della giovane in un fermo non giustificato. Inoltre il poliziotto le ha anche inviato un sms dopo la violenza.

A pochi giorni dalla denuncia della prima vittima, una donna di origini sudamericane si presenta alla Procura di Roma, anch’essa sostiene di aver subito una violenza sessuale da alcuni poliziotti e di essere riuscita a registrare quanto accadutogli con il telefonino.

Dalla registrazione – inquietante – acquisita dai Magistrati si sente quanto segue:

“Ore 00:36: dobbiamo effettuarle una perquisizione – i due agenti iniziano a molestare la donna – mi piace l’idea di violentarti troiona – l’altro agente urla al collega – Stronati, muoviti che la vojo violentà anch’io.”

Le registrazioni non lasciano interpretazioni, tant’è che gli stessi poliziotti avrebbero ammesso – in parte – alcune delle accuse avanzate dai magistrati che li hanno interrogati. Al momento, gli stessi poliziotti sarebbero stati solo sospesi – ma non rimossi - dal servizio, in attesa di un regolare processo che dovrebbe portare – almeno spero – alla condanna di questi ultimi.

È davvero sconcertante apprendere che, uomini in divisa, si possano trasformare nei peggiori delinquenti… arrivando a compiere persino arresti illegali, sequestri e stupri. Ancora più triste è il silenzio dei loro colleghi che vedono, sentono ma non parlano.

Nelle Forze Dell’Ordine ci vorrebbe meno omertà e più trasparenza. I colleghi onesti dovrebbero capire che chi abusa del proprio potere o compie atti delinquenziali – pur indossando una divisa – è un delinquente che andrebbe immediatamente denunciato, isolato, punito e condannato.

Questo perché mette in pericolo il lavoro ed il sacrificio di tutti gli altri “onesti”.

Andrea Mavilla

 

Morto dopo il un controllo dei Carabinieri. Giuseppe è morto per “cause naturali”.

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Cari amici,
il Procuratore Capo, Daniela Borgonovo, ha chiesto l’assoluzione di tutti gli imputati (sei Poliziotti e due militari dell’Arma dei Carabinieri), accusati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità nei confronti di Giuseppe Uva che la notte del 14 giugno, fu fermato – ubriaco –  mentre spostava alcune transenne poste per regolare il traffico.

Scrive la Dott.ssa Borgonovo: 

“Non ci sono prove di comportamenti illegali di poliziotti e carabinieri nella vicenda di Giuseppe Uva. Il soggetto fermato morì, dice il pm, per via di una grave patologia cardiaca e lo stress derivante dal fatto di essere stato fermato in uno stato di forte ebbrezza alcolica. E di questa patologia non erano a conoscenza carabinieri e poliziotti ai quali non si può nemmeno addebitare una responsabilità colposa. 

Per quanto riguarda l’arresto illecito, il procuratore ha sostenuto che “non c’è mai stato un arresto, in quanto i militari intervennero per interrompere un reato e per questo, Giuseppe Uva fu portato in caserma “per essere identificato e denunciato”.

Sembra abbastanza evidente che le parole annotate dalla Dott.ssa Borgonovo, non corrispondano a quanto accaduto quella notte in Caserma. Il corpo di Giuseppe Uva presentava lividi e bruciature di sigaretta su tutto il corpo. Però, nonostante questo, ha chiesto l’archiviazione e l’assoluzione nei confronti dei poliziotti e dei carabinieri.

Vedete, amici, in Italia è impossibile riuscire ad avere un processo imparziale e corretto, soprattutto quando si tratta di valutare azioni o comportamenti illegali da parte di appartenenti alle Forze Dell’Ordine.

D’altronde, non è necessario essere avvocato o magistrato per sapere che la legalità e la giustizia sono lontani dall’essere sinonimi.

Andrea Mavilla

Condannato: “È LUI LO STUPRATORE. L’ABBIAMO PRESO”. Dopo 3 anni di reclusione, Roberto viene scarcerato perché innocente.

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Cari amici.
Immaginate di camminare per i fatti vostri, in una fredda e piovosa sera d’inverno. Poco dopo, immaginatevi di finire a bordo di una volante della Polizia con l’accusa di aver abusato di una studentessa che, purtroppo, stava subendo una violenza sessuale non lontano da voi. 

A questo punto, immaginatevi dentro la cella di sicurezza di una Questura, dove gli Agenti di Polizia vi indicano come “LO STUPRATORE” e chiedono insistentemente una confessione. Adesso provate ad immaginarvi dentro una cella di massima sicurezza per 3 lunghissimi anni. 

Questo è quanto accaduto a Roberto Ruju, 35enne, che venne fermato e successivamente arrestato mentre si stava incamminando verso casa.

La sua colpa? Essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.

All’indomani del suo arresto, la notizia rimbalza su quelle trasmissioni di cronaca rosapomeridiane –  che, senza pensarci un attimo, schiaffano la faccia di Roberto in prima pagina, lasciandolo in balia del solito e retorico linciaggio mediatico.

Per tutti, magari anche per voi, Roberto è stato lo stupratore della studentessa napoletana, violentata brutalmente nell’androne di un vecchio palazzo situato ne centro della città.

Dopo 3 anni di reclusione, gli inquirenti si accorgeranno che l’uomo rinchiuso in carcere non è il vero stupratore. Le telecamere sveleranno che Roberto era troppo distante dal luogo dove – pochi minuti prima – si era consumata la violenza sessuale. Inoltre, il DNA trovato sul corpo della ragazza non combaciava con quello di Roberto. 

Purtroppo però, Roberto non è l’unica vittima dell’ingiustizia Italiana.

Qualche mese fa, cinque giovani ragazzi, in provincia di Benevento, furono arrestati e condannati a 6 anni e 3 mesi di reclusione… Se non fosse che dopo qualche mese dalla loro condanna, uno degli inquirenti scoprì un’altra verità. La “presunta vittima di stupro”, in realtà, si prostituiva. Sostanzialmente i rapporti c’erano stati. Anzi, erano stati concordati un’ora prima per telefono.

A Milano, invece, una studentessa canadese di 25 anni a Milano per il progetto universitario «Erasmus», denunciava alla Polizia di essere stata stuprata a bordo di un taxi. 

Dopo 2 anni e sei mesi di reclusione, l’autista, un ragazzo di 34 anni, fu assolto da ogni accusa. 

La realtà fu ben diversa, la ragazza aveva avuto un rapporto consenziente con il tassista al punto che, prima di salutarsi, il ragazzo le aveva lasciato il suo personale biglietto da visita e la ragazza con la promessa di rivedersi. 

Ecco, questi sono solo alcuni dei “centinaia di migliaia” di errori giudiziari. Storie di ordinaria ingiustizia che coinvolgono “presunti colpevoli” dapprima sbattuti in carcere e successivamente rimessi in libertà perché riconosciuti innocenti. 

Presunti colpevoli privati della loro libertà e condannati sulla base di soli indizi, confermando così le tante falle che coinvolgono inquirenti – spesso incompetenti – i quali svolgono indagini troppo frettolose.

Difatti, la fretta nelle indagini, l’eccessiva fiducia accordata ai testimoni non sempre attendibili, la troppa importanza data alle presunzioni di colpevolezza e agli indizi sono tra i fattori che predispongono all’errore, ai quali va ad aggiungersi la pressione esercitata dalle solite “trasmissioni televisive pomeridiane” che desiderano ad ogni costo puntare il dito su un presunto colpevole e non IL colpevole.

Andrea Mavilla.


Carcere di Pordenoe: Chi ha ucciso Stefano Borriello?

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Cari amici,
si chiamava Stefano Borriello, 29 anni, tossicodipendente, arrestato per aver tentato di sottrarre un portafoglio. 

Stefano Borriello è morto all’interno del Carcere di Pordenone. Secondo i verbali degli Agenti che lo avevano in custodia , Stefano sarebbe morto – pur avendo goduto da sempre di ottima salute – a causa di un infarto.

Ma cosa è successo davvero a Stefano Borriello?

L’unica cosa che sappiamo davvero è che Stefano doveva comparire davanti ai magistrati per concordare la richiesta di trasferimento. Di lì a poco, insomma, la sua esperienza in carcere sarebbe terminata.

Il lunedì Stefano non si presenta all’incontro di gruppo con il cappellano: “Non stava bene, hanno detto”. Passano alcuni giorni e giovedì a visitare Stefano va il sacerdote di Portogruaro, Don Andrea

“Non è stato possibile incontrarlo – racconta ancora il parroco – mi hanno detto che era bloccato con la schiena e non riusciva a camminare. A questo punto, ho chiesto agli Agenti di poterlo visitare all’interno della sua cella, ma non mi è stato permesso perché – secondo gli Agenti – non era un mio diritto visitare i detenuti all’interno delle celle”.

Il giorno successivo, dal carcere di Pordenone, viene chiesto l’intervento del 118. Stando al racconto degli Agenti, un ragazzo si sarebbe sentito male all’interno della sua cella.

Stefano viene trasportato in condizioni che, con il passare del tempo, si fanno via via più critiche. Troppo critiche: poco dopo l’arrivo, Stefano muore.

I periti nominati dalla Procura e l’autopsia medico-legale, hanno già escluso l’infarto. Tant’è che la Procura ha deciso di aprire un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti.

Vedete, amici, le Carceri italiane dovrebbero essere luoghi rieducativi e non punitivi. Nessun detenuto dovrebbe essere sottoposto a massacri, pestaggi o a punizione crudeli, inumani o degradanti.

Nelle nostre carceri ogni anno muoiono più di 100 detenuti in circostanze misteriose.

C’è chi muore a causa di un infarto, ma viene trovato con 8 costole rotte, due denti spaccati e il cranio spappolato; c’è chi muore a causa della malnutrizione, ma viene trovato con un occhio tumefatto, la mascella spaccata e la spina dorsale deviata; c’è anche chi muore a causa di un suicidio, ma viene trovato appeso ad un termosifone posizionato a 70 cm da terra.

Ma la violenza in carcere ha tante facce. Quella più oscura è quella sui detenuti, difficile da trattare, da dimostrare e persino da ipotizzare. Quello che avviene all’interno del carcere resta chiuso tra quattro mura. Nessuno denuncia niente. O SI TROVA IL MODO PER FARGLI CAMBIARE IDEA.

Andrea Mavilla

Io condannato all’ergastolo senza aver commesso alcun fatto.

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Cari amici,
immaginatevi all’interno di una Caserma dei Carabinieri con l’accusa di aver sequestrato ed ucciso un uomo. Adesso immaginate di finire all’interno di un carcere di massima sicurezza con una condanna all’ergastolo – carcere a vita – ma senza aver fatto nulla.

Questo è l’inferno che sta vivendo da oltre dieci anni Vincenzo Bommarito, oggi 30enne, arrestato – ingiustamente – nell’anno 2006, dopo che il vero autore del delitto ha fatto il suo nome su pressione dei Carabinieri che lo stavano massacrando di botte.

Ma l’inferno è soprattutto nella lucida consapevolezza di essere vittima del furto più atroce, quello della libertà. E di vivere l’interminabile divenire di giorni grigi, sempre uguali, al posto di qualcun altro. 

Riassumiamo brevemente i fatti. Vincenzo Bommarito viene accusato da un suo dipendente bracciante agricolo, Giuseppe Lo Biondo, di avere sequestrato ed ucciso un noto avvocato, Pietro Michele Licari, dopo averlo tenuto sequestrato dentro una profonda botola d’ispezione di una condotta di acquedotto.

Questa accusa è stata determinante per la condanna all’ergastolo di Vincenzo Bommarito, mentre l’accusatore – autore del sequestro – se l’è cavata con tredici anni e quattro mesi di reclusione.

Peccato che a distanza di sette anni di carcere, Giuseppe Lo Biondoautore materiale del sequestro - venga colto da terribili rimorsi di coscienza.

“Perdonami Vincenzo per aver fatto il tuo nome ingiustamente – scrive Lo Biondo – ma non ho resistito alle forti pressioni da parte dei carabinieri che mi picchiavano per dire ciò che volevano sentirsi dire.

Ho provato a dire al mio avvocato che tu eri innocente, ma lui mi ha consigliato di non ritrattare le mie dichiarazioni, questo per non incorrere in una contro denuncia per falsa testimonianza che, secondo il mio legale, avrebbe peggiorato la mia posizione e rischiato almeno due anni in più di carcere.”

Prove che potrebbero scagionare il giovane se prese in considerazione da chi, in precedenza, ha deciso di rinchiuderlo in carcere a vita sulla base di una falsa testimonianza. 

D’altronde, è sempre meglio rischiare di salvare un colpevole piuttosto che condannare a vita un innocente.

Andrea Mavilla

Arrestati nuovamente gli “zingari” che rubarono a casa di Ermes Mattielli.

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Cari amici,
pochi minuti fa, i Carabinieri del Nucleo Operativo di Vicenza, hanno fermato ed arrestato Cris Caris e Blu Helt, i due “zingari” che qualche anno prima, si resero protagonisti di un altro furto, quello di Ermes Mattielli, il pensionato vicentino che sparò e ferì i due “zingari” che violarono il suo domicilio.

Per essere più precisi, Cris Caris e Blu Helt, furono feriti a colpi di fucile. A sparare fu il proprietario di casa, Ermes Mattielli, quest’ultimo poi fu condannato dal “Tribunale di Vicenza” per tentato omicidio a 5 anni e 4 mesi di reclusione, oltre ad un risarcimento di 135mila nei confronti dei due zingari.

Poco dopo la sentenza, Ermes Mattielli morì per arresto cardiaco, causato molto probabilmente per la condanna inaspettata.

Ma non finisce qui. Dopo la morte del pensionato, lo stesso Tribunale di Vicenza, ha chiesto che parte dell’eredità di Mattielli, debba andare ai due “zingari” per il danno a loro causato dell’ormai defunto.

I due nomadi, secondo la ricostruzione degli investigatori, erano partiti in auto dal campo nomadi di Santorso. Pedinati ai carabinieri, sono stati bloccati mentre uscivano da una baita di Nogarole Vicentino dove avevano appena compiuto un furto. 

Nel tardo pomeriggio di oggi, il Tribunale di Vicenza ha disposto – nei confronti dei due zingari – gli arresti domiciliari presso il campo rom di residenza.

Vedete, amici, sono convinto che Ermes Mattielli otterrà giustizia nell’altro mondo. In questo, purtroppo, ha dovuto fare i conti con una “legge garantista” a favore dei delinquenti.

Concludo scrivendovi che gli zingari sono una specie di esseri umani che vive a spese di un altro organismo o di una specie diversa dalla loro. Per questo andrebbero eliminati dall’intero pianeta. 

Andrea Mavilla.

MONICA BUSETTO: Condannata a 24 anni per omicidio viene rilasciata. “Abbiamo sbagliato persona. Ci dispiace”.

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Cari amici,
la donna che vedete in foto si chiama Monica Busetto, 55 anni, originaria di Mestre, condannata a 24 anni e sei mesi per un delitto che, in realtà, non aveva commesso.

“Ricordo come fosse ieri – racconta Monica Busetto – quel maledettissimo 30 Gennaio, quando alcune volanti della polizia si piazzarono davanti alla mia casa. Dopo pochi minuti piombarono all’interno del mi appartamento dichiarando che da quel momento ero in arresto per OMICIDIO.

Non mi diedero il tempo nemmeno di preparare una valigia. Urlavo la mia innocenza e cercavo in tutti i modi di fargli capire che si trattava sicuramente di un errore di persona… ma non ci fu nulla da fare.

Uno dei poliziotti presenti afferrò le mie braccia, mi ammanettò davanti agli occhi di mio padre e della mia povera madre – oggi morta – e mi accompagnarono a 700 chilometri di distanza, nel penitenziario di Pozzuoli, dove passai una parte della mia vita.

Anche dal carcere continuavo ad urlare la mia innocenza, spiegando alle altre detenute di non aver mai commesso quell’omicidio. Ribadivo questo anche alle guardie del carcere che ripetevano: (Signora, tutti così dicono).”

Durante un freddo inverno di dicembre, una donna di nome “Lida Taffi Pamio”, venne trovata morta, prima soffocata e poi accoltellata al cuore e alla gola. Nello stesso pianerottolo della vittima, abitava lei, la presunta assassina,  Monica Busetto.

Ad incastrarla – secondo gli inquirenti – sarebbe stata una traccia del Dna della vittima, trovata su una colonnina della vittima che apparteneva – sempre secondo gli inquirenti – alla Signora Monica Busetto, nonché vicina di casa della vittima.

Sennonché, alla vigilia dell’ultimo Capodanno, un altro delitto veniva compiuto e un’altra anziana veniva strangolata a Mestre. La vittima si chinava Francesca Vianello di 81 anni. A pochi giorni dalla sua morte, una donna di nome Susanna Lazzarini, 54enne, confessa non solo l’omicidio della Signora Francesca Vianello, ma anche quello della Signora Lida Taffi Pamio, l’87enne strangolata nel suo appartamento di viale Vespucci a Mestre.

A questo punto, i Giudici hanno capito di aver condannato la persona sbagliata e di avere messo in carcere la persona sbagliata. Per questo, la donna è stata immediatamente scarcerata su richiesta dello stesso Procuratore generale Antonino Condorelli.

“Questa mattina – racconta Monica Busetto – intorno alle 5:00 vengo svegliata dalle guardie e portata negli uffici del carcere. Impaurita chiedo cosa stesse succedendo e perché tanta fretta. In quell’ufficio, ad attendermi c’era un magistrato. (Signora, c’è stato un errore. Da questo momento lei è libera).”

Vedete, amici, ci troviamo davanti all’ennesimo errore giudiziario che coinvolge una “presunta colpevole” dapprima sbattuta in carcere e successivamente rimessa in libertà perché riconosciuta innocente.

Presunti colpevoli privati della loro libertà e condannati sulla base di soli indizi, confermando così le tante falle che coinvolgono inquirenti – spesso incompetenti – i quali svolgono indagini troppo frettolose.

D’altronde, sarebbe stato meglio rischiare di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente.

Andrea Mavilla.

Genova: protesta per una multa ingiusta, 81enne finisce in carcere per oltraggio a pubblico ufficiale.

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Cari amici,
l’uomo che vedete in foto si chiama Emanuele Rubino, 81enne, genovese.

Il Sig. Emanuele Rubino, ha dovuto scontane ben 17 giorni di carcere per aver dato dei “FANNULLONI” ai tre vigili che lo avevano multato per aver posteggiato il suo furgone in Piazza Raibetta, nel centro storico, nonostante avesse tutti i permessi per entrare nella ZTL. 

L’anziano Signore, dopo essere stato multato è stato anche denunciato per “oltraggio a pubblico ufficiale” e successivamente arrestato e condannato a 17 giorni di carcere scontati all’interno del carcere di Marassi.

Vedete, amici, è davvero curioso vedere finire in carcere un 81enne, la cui colpa è quella di aver protestato contro un abuso di potere. Al contempo è ancor più curioso apprendere che, Mohamed Siflitihada, cittadino marocchino di 32 anni, senza fissa dimora, con precedenti, per furto aggravato, spaccio, danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale, venga denunciato e lasciato in libertà vigilata.

D’altronde, la “giustizia” Italiana  è troppo buona per alcune persone e non abbastanza buona per le restanti.

Andrea Mavilla

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