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Channel: MALAGIUSTIZIA – Andrea Mavilla
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Terni: Romeni fermati per rapina e omicidio.”TANTO QUI IN ITALIA USCIAMO SUBITO”


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Cari amici,
si sono finti postini e sono entrati con la scusa di consegnare un telegramma, i tre giovani Romeni di 20, 21 e 25 anni.

Ieri sera, nel quartiere Gabelletta, provincia di Terni, Giulio Moracci, 93 anni, e la miglia Fioranna, 85 anni, sono stati rapinati e massacrati, tant’è che l’uomo ha perso la vita.

I tre Romeni hanno bussato alla loro casa con la scusa di consegnare un telegramma. Una volta giunti all’interno dell’abitazione, l’uomo è stato legato ad un letto e seviziato con un accendino ed alcuni pezzi di vetro, mentre la moglie è stata legata ad una sedia e presa a pugni.

L’uomo è morto per le sevizie subite, la moglie, invece, è stata trasportata d’urgenza in ospedale per le gravissime condizioni.

I tre Romeni sono stati arrestati dai carabinieri proprio mentre uscivano di corsa dalla casa. Con in mano un involucro contenente il bottino della rapina, oggetti in oro per qualche migliaia di euro.

Una volta in caserma, sembrerebbe che nel corso dell’interrogatorio di convalida del fermo, uno dei tre Romeni abbia dichiarato:  “Ma che ci fermate a fare, tanto qui in Italia usciamo subito”.

Difatti, i tre giovani fermati risultavano già inquisiti e condannati in passato per reati specifici o analoghi.

Vedete, amici, qualche anno fa, Bernard, un amico francese mi disse: “scusa Andrea, ma perché l’Italia è a forma di stivale?

Con un leggero sorriso risposi: “Bernard, perché per stare in mezzo a tutta questa merda, gli stivali sono molto più comodi dei sandali.

Andrea Mavilla.


Morto dopo un fermo di Polizia: lo Stato dovrà pagare 1 milione e 200mila euro

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Cari amici,
il ministero dell’Interno è stato condannato, con tre poliziotti, a risarcire per un milione e 200mila euro i famigliari di Riccardo Rasman, il disabile morto a Trieste nel 2006 dopo un’irruzione della polizia in casa sua. 

Per chi non conoscesse i fatti, il 27 ottobre 2006, passate da poco le ore 20:00, Riccardo Rasman si trovava nel suo appartamento di Via Grego, 38. Secondo la ricostruzione degli agenti e le contraddittorie testimonianze dei vicini, Rasman stava ascoltando musica ad alto volume e, dopo essere uscito nudo sul balcone, lanciò due petardi nella corte interna dello stabile; uno di essi scoppiò a poca distanza da una ragazza, senza causarle lesioni.

In seguito a una segnalazione arrivata al 113, sul posto giunsero due volanti per un totale di quattro agenti. La prima volante giunse alle 20:21 e alle 20:34 chiese una seconda volante di rinforzo e l’intervento dei Vigili del Fuoco per sfondare la porta dell’appartamento. Rasman, che nel frattempo si era rivestito e steso a letto con la luce spenta, rifiutò di aprire, intimorito forse in seguito ad un’altra colluttazione con le forze dell’ordine risalente al 1999, a cui era seguita una denuncia nei confronti di due agenti da parte di Rasman.

Intervenuti i Vigili del Fuoco, gli agenti di polizia entrarono trovando Rasman seduto sul letto: ne sortì un’accesa colluttazione tra i quattro agenti e Rasman, che infine fu immobilizzato dal gruppo a terra, ammanettato dietro la schiena e legato alle caviglie con del filo di 

Dopo l’immobilizzazione, nonostante fosse ammanettato, continuarono a picchiarlo tenendolo in posizione prona per diversi minuti. A quale punto, Rasman iniziò a respirare affannosamente e a rantolare, fino a divenire cianotico e a subire un arresto respiratorio. All’arrivo di un mezzo di soccorso, ne venne constatato il decesso.

Nel 2009 sono stati condannati gli agenti Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi a sei mesi con la condizionale. I tre non sono mai andati in carcere e sono tutt’ora in servizio nella Polizia di Stato.

D’altronde, sono centinaia i casi in cui poliziotti inquisiti, condannati e poi arrestati per svariati reati, non solo non sono stati rimossi dal servizio, ma in certi casi han fatto addirittura carriera. 

Andrea Mavilla

PEDIATRA SUICIDA A GENOVA. IL FIGLIO: “SONO LIBERO, MA A CHE PREZZO?”

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Cari amici,
Marco Menetto era un farmacista di successo, con l’aiuto della sua famiglia erano riusciti a costruire la sua attività, fatta di sacrifici e anni di lavoro.

Nel marzo del 2012, Marco Manetto aveva ricevuto un avviso di garanzia, ma tre anni più tardi – circa una settimana fa – è stato arrestato con la contestazione del pericolo di fuga.

Francesco Menetto, 65 anni, padre di Marco, dopo la diffusione della notizia dell’arresto del figlio, si è suicidato scrivendo: 

La magistratura miope a volte uccide

Nella notte di domenica il Dott. Francesco Menetto, disperato ed umiliato per l’arresto del figlio Marco, si è ucciso gettandosi da una pensilina vicina al ponte monumentale di Genova, la moglie era al suo fianco, avrebbe dovuto seguirlo. Lei ha esitato. Non ce l’ha fatta. 

la moglie del Dott. Francesco Menetto è stata ascoltata dagli agenti della polizia. La donna ha raccontato di come il marito si è seduto sulla ringhiera e l’ha salutata. «Mi ha detto: “Ciao Grazia”, poi è saltato”». Lei ha vagato per un’ora e non si è avvicinata al corpo. Alla fine è tornata sulla pensilina, dove l’hanno trovata gli agenti.

Da ieri Marco Menetto, farmacista, è un uomo libero. La Procura di Monza, diretta dal Procuratore Corrado Carnevali, ha revocato gli arresti domiciliari. «Libero sì, ma a che prezzo» dice con le lacrime agli occhi.

La Procura lo accusava di aver trafficato in medicinali di una filiera illegale. Le indagini sono del 2012, l’ordinanza di arresto è arrivata il 3 aprile, dopo tre anni di buio e il cambio dei titolari dell’inchiesta.

«L’avviso di garanzia – racconta Marco – mi è arrivato nel 2012, poi più nulla. Nessuno mi ha interrogato, finché qualche giorno fa, sono arrivati i carabinieri e mi hanno arrestato».

Potevamo farcela» dice Marco. «E io ho ancora fiducia che tutto sarà chiarito». Però ora è durissima. «I distributori di medicinali hanno chiamato dicendo che non ci rifornivano più». 

Insomma, da stimati professionisti a paria. La macchia di accuse pesanti. «Io non ho trafficato in farmaci. Mi contestano di aver comprato da una ditta che avrebbe riciclato medicinali ma non ne so nulla: ho pagato con bonifici, ho fatturato e ho mandato i numeri di serie al ministero. Non avevo niente da nascondere».

L’avvocato di Menetto, Umberto Pruzzo ha molti meno dubbi: “Quando si arresta qualcuno bisognerebbe valutare a fondo le motivazioni. La Procura di Monza ha contestato il pericolo di fuga a una persona che da tre anni, indagata, andava a lavorare tutti i giorni.

Vedete, amici, per aver paura di “alcuni” magistrati non bisogna essere necessariamente colpevoli.

Andrea Mavilla

Carabiniere uccide moglie a coltellate: non accettava la separazione. “LEI LO AVEVA GIÀ DENUNCIATO”

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Cari amici,
poche ore fa un carabiniere, Francesco De Vito, 47 anni, ha ucciso la moglie Fiorella Maugeri, di 43 anni, madre di una ragazza di 17 anni ed un ragazzo di 15.

La figlia era in casa durante le fasi drammatiche dell’omicidio. Quando è iniziata la lite la madre l’ha fatta salire al piano superiore della villetta ma poi, sentendo urlare più forte, la ragazza è scesa nuovamente ed ha trovato la madre riversa a terra nel sangue.

Fiorella aveva già denunciato il marito per maltrattamenti, proprio come l’80% delle altre donne, tutte morte pur avendo segnalato alle autorità competenti la paura di essere uccise dal proprio uomo.

In Italia, le donne vittime di violenza non hanno alcuna garanzia di sicurezza o protezione, anzi, il più delle volte dopo la denuncia le cose peggiorano. Per di più, la vittima che decide di denunciare, deve farsi carico delle spese legali e aspettare tempi insostenibili, a volte persino pericolosi.

Pensate che tra la denuncia e l’eventuale condanna passa troppo tempo e la vittima viene lasciata sola dalle istituzioni che dovrebbero tutelarla e proteggerla. Rimane invece esposta quindi all’escalation degli atti persecutori che, come già detto, spesso piuttosto di subire un’interruzione, aumentano d’intensità.

In base agli ultimi casi di cronaca, 3 stalker su 5 dopo la denuncia, continuano indisturbati nel perseguitare le loro vittime fino ad ucciderle senza alcuna pietà.

Vedete, amici, una giustizia ritardata diventa una giustizia negata. Quindi: una morte assicurata.

Andrea Mavilla.

Detenuto massacrato in carcere, indagato un agente di polizia penitenziaria.

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Cari amici,
sarebbe caduto dalle scale il detenuto che la scorsa notte è stato ricoverato in gravissime condizioni – così raccontava la guardia – ma in realtà è stato massacrato a colpi di manganello.

La vittima – un genovese di 29 anni, arrestato per aver fatto uso di sostanze stupefacenti – sarebbe stato prelevato dalla sua cella, portato in una zona sprovvista di telecamere e massacrato a colpi di manganello.

L’agente, interrogato dai magistrati, ha dapprima spiegato che il detenuto si era fatto male cadendo dalle scale, ma solo a seguito del referto medico legale – che confermava traumi e lesioni compatibili con l’uso del manganello – quest’ultimo ha nuovamente ritrattato, modificato la sua testimonianza, affermando di essere stato aggredito e di essere rimasto coinvolto in una colluttazione.

Sembrerebbe che all’interno del carcere Marassi, un gruppetto di agenti, piuttosto giovani, applicherebbe nei confronti di molti detenuti, veri e propri metodi di tortura.

D’altronde, il carcere di Marassi non è nuovo a questi episodi di estrema violenza. Solo qualche mese fa ci fu l’ennesimo tentativo di suicidio nel carcere genovese. Un giovane detenuto aveva tentato di togliersi la vita mediante impiccagione ed è stato salvato grazie alla tempestività dei suoi compagni di cella.

Ma il carcere di Marassi ha ancora un conto in sospeso dal 2008. Ovvero il caso di Manuel Eliantonio, di soli 22 anni, che scriveva:

Cara mamma, qui mi ammazzano di botte almeno una volta la settimana e mi riempiono di psicofarmaci. Quelli che riesco non li ingoio e appena posso li sputo. Ma se non li prendo sono guai”. E ancora: “Sai, mi tengono in isolamento quattro giorni alla settimana, mangio poco e niente, sto male.”

Manuel Eliantonio, fu trovato morto due giorni dopo questa lettera. Lo trovarono all’interno della sua cella nel bagno con il volto letteralmente fracassato. Anche in quell’occasione, gli agenti dichiarano che Manuel Eliantonio, aveva compiuto atti di autolesionismo.

Il carcere di Marassi vive una tremenda situazione dettata dall’insostenibile sistema penitenziario dove rinchiudono tutti, senza distinzione, e senza soprattutto una ricerca della pena alternativa partendo dai detenuti con problemi di tossicodipendenza e psichiatrici. Un sistema dove la violenza coinvolge tutti, detenuti e agenti. 

Vedete, amici, nelle nostre carceri ogni anno muoiono più di 100 detenuti in circostanze misteriose. C’è chi muore a causa di un infarto, ma viene trovato con 8 costole rotte, due denti spaccati e il cranio spappolato; c’è chi muore a causa della malnutrizione, ma viene trovato con un occhio tumefatto, la mascella spaccata e la spina dorsale deviata; c’è anche chi muore a causa di un suicidio, ma viene trovato appeso ad un termosifone posizionato a 70 cm da terra.

Ma la violenza in carcere ha tante facce. Quella più oscura è quella sui detenuti, difficile da trattare, da dimostrare e persino da ipotizzare. Quello che avviene all’interno del carcere resta chiuso tra quattro mura. Nessuno denuncia niente. O SI TROVA IL MODO PER FARGLI CAMBIARE IDEA.

Andrea Mavilla.

PERCHÉ “ALCUNI” APPARTENENTI ALLE FORZE DI POLIZIA MI ODIANO?

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Cari amici,
alcuni di voi mi conoscono già, altri no. Ho aperto questo Blog nel “gennaio del 2011″, per dare spazio a chi, come me, ha subito abusi o soprusi da parte di esponenti delle Forze Dell’Ordine. 

Dal 2011 ad oggi, questo Blog è diventato un vero e proprio punto di riferimento. Insomma, un luogo dove denunciare pubblicamente le tante o forze troppo ingiustizie compiute per mano di uomini in divisa.

Mi occupo principalmente di agenti corrotti, collusi o violenti che in Italia, trovano campo fertile per la poca pressione mediatica che puntualmente censura o nasconde questo tipo di notizie.

Per chi non fosse informato,  sono centinaia i casi in cui appartenenti alle Forze di Polizia Italiana, sono stati  inquisiti, condannati e poi arrestati per svariati reati. La cosa sorprendente è che questi agenti,  non solo non sono stati rimossi dal servizio, ma in certi casi hanno fatto addirittura carriera. 

Come Vincenzo Canterini che, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest. 

Come Michelangelo Fournier, che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi, ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga. 

Come Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria. 

Vedete, amici, nelle Forze Dell’Ordine ci vorrebbe meno omertà e più trasparenza. I colleghi onesti dovrebbero capire che chi abusa del proprio potere o compie atti delinquenziali – pur indossando una divisa – è un delinquente che andrebbe immediatamente denunciato, isolato, punito e condannato. Questo perché mette in pericolo il lavoro ed il sacrificio di tutti. 

Andrea Mavilla

Lecco: UCCISE NEL SONNO LE TRE FIGLIE DI 13, 10 E 3 ANNI. ASSOLTA PER VIZIO TOTALE DI MENTE.

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Cari amici,
pochi minuti fa, Edlira Copa, la donna di origine Albanese che nel marzo 2014 uccise a coltellate le sue tre figlie di 13, 10 e 3 anni a Lecco, è stata assolta  per vizio totale di mente. 

Secondo il Giudice, la donna era caduta in depressione da quando il marito, Bashkim Dobrushi, metalmeccanico albanese di 45 anni, l’aveva lasciata per un’altra donna. Edlira era tormentata giorno e notte dall’incubo della miseria. Nonostante il marito passasse metà dello stipendio alla famiglai, i soldi non bastavano mai e spesso la donna andava alla Caritas a prendere buste di cibo.

Al contempo, il Tribunale del Riesame di Milano, ha stabilito che Fabrizio Corona, non solo non potrà usufruire di misure cautelari alternative, ma dovrà scontare cinque – dei 13 anni e due mesi – all’interno di un carcere di massima sicurezza.

Vedete, amici, come scritto più volte: non è scandaloso che Fabrizio Corona sia finito in prigione… Piuttosto trovo scandaloso che una pluriassassina sia finita in libertà.

Andrea Mavilla.

È LUI MA NON È LUI? CERTO CHE NON È LUI…

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Cari amici,
allora facciamo il punto della situazione: il 18 marzo del 2015, intorno alle ore 12:30, viene compiuto un attacco terroristico al museo nazionale del Bardo di Tunisi, nonché capitale della Tunisia. Nell’attentato morirono 24 persone, di cui quattro italiane.

All’indomani dell’attacco, il primo ministro del governo tunisino Habib Essid ha reso nota l’identità dei due terroristi, entrambi di nazionalità tunisina: Yassine Labidi, originario di un quartiere popolare di Tunisi, e Jabeur Khachnaoui, originario di Kasserine; ha inoltre annunciato l’arresto di nove sospetti terroristi, di cui uno latitante, Touil Abdelmajid.

Il 20 maggio 2015, viene arrestato in Lombardia, precisamente a Gaggiano, un  ventiduenne,marocchino che corrisponde al nome  di “Abdelmajid Touil“, lo stesso “nome e cognome” diffuso dai servizi segreti tunisini.

In Francia ci sono circa 3 persone che corrispondono al nome di Abdelmajid Touil, in Inghilterra 4, in Germania 3, in Spagna 2, in America addirittura 6… mentre in Italia, di Abdelmajid Touil, ce n’è uno.

A questo punto, i servizi segreti italiani e la Digos – Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali – decidono di arrestare Abdelmajid Touil, il 22 enne di origine marocchina.

Dopo 16 minuti dal suo arresto, la stampa Nazionale italiana afferma: “ARRESTATO IN ITALIA UNO DEGLI AUTORI DELLA STRAGE DI TUNISI“. 

Insomma, la faccia di Abdelmajid Touil, finisce su tutte le prime pagine dei giornali nazionali.

Ebbene si, a 48 ore dal suo arresto, gli inquirenti apprendono che l’uomo fermato e sospettato di aver preso – attivamente – parte alla strage terroristica compiuta a Tunisi, non poteva essere lui.

Difatti, Abdelmajid Touil, il giorno dell’attentato risultava regolarmente all’interno dell’istituto scolastico – Cuciniello – di Trezzano, come confermato non solo dalla famiglia, bensì anche dai docenti scolastici e dal Preside dello stesso Istituto scolastico.

Insomma, le autorità di Polizia “Francesi, Inglesi, Spagnole ed anche quelle Americane“, prima di fermare, arrestare e sbattere la faccia di un “presunto qualsiasi” su tutte le loro prime pagine, sembrerebbe che abbiano svolto delle regolari indagini, portato gli inquirenti a capire che i loro “presunti sospettati” erano completamente estranei ai fatti accaduti a Tunisi.

In Italia, invece, funziona così: prima arrestano un individuo dal nome Abdelmajid Touil, subito dopo lo schiaffano su tutti i giornali e solo dopo aver appreso che il soggetto fermato non corrisponde al reale sospettato, obbligano noi cittadini a rimborsare non solo l’ingiusta detenzione, bensì anche il danno morale – causato non da noima dagli inquirenti che avrebbero dovuto dapprima indagare e successivamente arrestare il colpevole… e non un presunto qualsiasi.

Andrea Mavilla.


Sono indagato per aver vilipeso le Forze Armate dello Stato. Ma in realtà avevo semplicemente scritto la verità.

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Cari amici,
sono ufficialmente indagato per aver violato l’articolo 290 del codice penale. “Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate.”

“Chiunque pubblicamente vilipende le forze armate dello Stato è punito con la reclusione da 1 a 5 anno o con una multa da euro 1.000 a euro 5.000.”

Sostanzialmente, il sottoscritto avrebbe offeso l’onore e il decoro delle forze armate dello Stato, per aver scritto:

“Sono centinaia i casi in cui appartenenti alle Forze Dell’Ordine – inquisiti, condannati e poi arrestati – per svariati reati, non solo non sono stati rimossi dal servizio, ma in certi casi han fatto addirittura carriera.”

È cosa avrei detto di così offensivo? Ho semplicemente scritto la verità.

È difficile non indignarsi sapendo che Vincenzo Canterini, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne addirittura questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest.

È difficile non indignarsi sapendo che Michelangelo Fournier, quello che al processo parlò di “macelleria messicana” che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga.

È difficile non indignarsi sapendo che Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi per le sevizie di Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria.

È difficile non indignarsi sapendo che Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani e Monica Segatto, i quattro agenti di Polizia – condannati a 3 anni di reclusione – per aver fermato, pestato, torturato ed in fine ucciso il 17enne, Federico Aldrovandi, continuano a prestare servizio nella Polizia Di Stato

Questi sono solo alcuni casi, altrimenti non basterebbe una pagina e nemmeno due per descrivere i centinaia di casi in cui appartenenti alle Forze Dell’Ordine – inquisiti, condannati e poi arrestati – per svariati reati, non solo non sono stati rimossi dal servizio, ma in certi casi han fatto addirittura carriera.

Andrea Mavilla.

Aggredisce a calci e pugni tre poliziotti e poi scappa: “IL VIDEO SMENTISCE IL RACCONTO DEI POLIZIOTTI”.

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Cari amici,
l’uomo che vedete all’interno di questo video si chiama Filippo Narducci, trentenne di Cesena che il 9 aprile, dopo una serata trascorsa con alcuni amici, venne fermato da una pattuglia della polizia all’interno di un’area di servizio della sua città, Cesena.

Questa volta però, c’è una telecamera che ha ripreso tutto – questo i poliziotti non lo sanno – analizzando attentamente la scena, possiamo vedere che Filippo scende dalla propria automobile in compagnia di un’altra persona, e subito dopo viene raggiunto da una volante con a bordo tre agenti di polizia, salvo poi tornare indietro per, come si capirà dai fotogrammi successivi, andare a prendere i documenti, che vengono prontamente mostrati agli agenti. 

A questo punto assistiamo a un arretramento fisico di Filippo, mentre i tre poliziotti gli si fanno intorno, accerchiandolo e pressandolo fisicamente finché l’uomo non riceve un colpo al volto, casca per terra, viene ammanettato e caricato sulla volante.

Filippo Narducci viene arrestato e denunciato dai poliziotti per aggressione e oltraggio a pubblico ufficiale - anche se Filippo non ha picchiato nessuno – ma dopo un lungo processo, il tribunale di Cesena lo assolve con formula piena perché i fatti non sussistono.

A questo punto, i tre agenti di Polizia vengono formalmente accusati di calunnia e falso ideologico. Questo perché la versione degli agenti e dell’annotazione di servizio appare “discordante con il quadro emergente dalla visione dei filmati relativi alle telecamere poste nella zona” e si deve escludere che “il Narducci abbia posto in essere alcun comportamento tale da giustificare, prima, l’applicazione nei confronti dello stesso delle manette e, successivamente, la sua conduzione presso gli uffici del Commissariato”.

Come scrive Valentina Calderone, sembra abbastanza evidente che le parole annotate dagli agenti nella relazione di servizio non corrispondano alla realtà. Però, nonostante questo, il tribunale di Forlì ha chiesto per due volte l’archiviazione del procedimento contro i poliziotti, cui Filippo Narducci, sostenuto dai suoi avvocati, si è sempre opposto.

Vedete, amici, in Italia è impossibile riuscire ad avere un processo imparziale e corretto, soprattutto quando si tratta di valutare presunte azioni illegali di appartenenti alle forze di polizia.

Andrea Mavilla.

CARABINIERI? NO GRAZIE. “SOLO TRAFFICANTI INTERNAZIONALI DI STUPEFACENTI IN DIVISA”.

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Cari amici,
l’uomo che vedete in foto si chiama Giampaolo Ganzer, Generale Dell’Arma dei Carabinieri, ex comandante del Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri (Ros).

Il generale Giampaolo Ganzer è stato condannato in primo grado a 14 anni e 6 mesi di reclusione, poi ridotti in appello a 4 anni e 11 mesi di reclusione. Attualmente è in attesa del  verdetto della Cassazione.

Il motivo? 

I giudici  hanno riconosciuto al generale Ganzer – accusato di traffico internazionale di droga e associazione a delinquere – tutte le accuse. Difatti,  Il generale Gianpaolo Ganzer non si faceva scrupoli, accordandosi con pericolosissimi trafficanti ai quali dava loro la possibilità di vendere in Italia decine di chili di droga garantendo a questi ultimi l’assoluta impunità. Ganzer ha tradito per interesse lo Stato e tutti i suoi doveri tra cui quello di rispettare e fare rispettare la legge.

Il generale Giampaolo Ganzer, non lavorava da solo. Anzi, queste “operazioni” venivano svolte da una sorta di banda in divisa all’interno del Ros. 

Per essere più precisi, la banda era composta dal maresciallo Gilberto Lovato, condannato a 5 anni e 9 mesi – la richiesta iniziale era di 25 anni di reclusione – il colonnello Mauro Obinu, anch’esso  condannato a 4 anni e sei mesi – la richiesta iniziale era di 22 anni di reclusione – per un altro degli imputati, il brigadiere Gianfranco Benigni, la pena è di 5 anni e 9 mesi.

A questo punto c’è da chiedersi che fine abbia fatto il Generale Giampaolo Ganzer e la sua squadretta in divisa.

Il generale Ganzer – condannato – ha comunque continuato ad indossare l’uniforme dei carabinieri, mantenendo il suo ruolo come comandante dei Ros -fino all’ultimo giorno della sua carriera – Difatti, il generale Ganzer, non è stato né sospeso né rimosso Dell’Arma dei Carabinieri, bensì si è guadagnato con estrema “professionalità” la pensione… senza farsi nemmeno un giorno di galera.

Anche gli altri militari non sono stati congedati o sospesi dal servizio. Anzi, continuano a lavorare nell’Arma dei Carabinieri, conducendo indagini e portando in arresto “trafficanti di droga”.  

Vedete, amici, quale credibilità mostra di avere uno Stato che consente a questi Carabinieri – condannati in primo grado e in appello –  di continuare a restare ai loro posti e di proseguire negli arresti? Poca o nessuna. Una mancanza di credibilità che genera l’ennesimo ossimoro istituzionale: Carabinieri condannati che arrestano degli indagati. Stride non poco, vero? 

Ancora più stridente è sapere che in Italia, sono centinaia i casi in cui Carabinieri – inquisiti, condannati e poi arrestati – per svariati reati, non solo non sono stati rimossi dal servizio, ma in certi casi han fatto addirittura carriera.

Andrea Mavilla

Matteo Salvini: “Se un delinquente cade e si sbuccia un ginocchio, sono cazzi suoi”.

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Gentile Matteo Salvini,
lei è uno dei “personaggi” più attivi nell’opposizione al reato di tortura che prevederà una condanna da 3 a 5 anni di reclusione a tutti gli operatori delle Forze dell’Ordine che a loro volta sottoporranno a tortura, punizioni crudeli, disumani e/o degradanti, tutti i soggetti sottoposti a fermo di polizia.

Leggevo l’affermazione da lei fatta nel pomeriggiodi ieri: 

“Carabinieri e polizia devono poter fare il loro lavoro. Se un delinquente cade e si sbuccia un ginocchio, sono cazzi suoi”.

Vede, Onorevole Salvini, il compito delle Forze dell’Ordine non è quello di torturare manifestanti e/o criminali, magari manganellando loro il cranio, ma semplicemente garantire la sicurezza dei cittadini e il rispetto delle leggi; il resto si chiama abuso di potere o, appunto, tortura.

11 luglio 2003: Marcello Lonzi, 29 anni, muore in carcere a Livorno dopo poche settimane dal suo arresto per violazione di domicilio. L’intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, con la constatazione sul posto della morte del giovane, per “cause naturali”.

Dall’autopsia, il corpo di Marcello Lonzi presentava il carneo letteralmente spappolato, due denti spaccati, la mandibola deviata, otto costole rotte e varie ecchimosi su tutto il corpo.

Tipica morte dovuta a “cause naturali”.

25 settembre 2005: Federico Aldrovandi, 17 anni, muore durante un fermo di polizia nel centro della sua città, Ferrara. L’intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, con la constatazione sul posto della morte del giovane, per “arresto cardio-respiratorio”.

Dall’autopsia, il corpo di Federico Aldrovandi presentava più 54 lesioni e varie ecchimosi su tutto il corpo.

Tipica morte dovuta ad un arresto “cardio-respiratorio”.

14 ottobre 2007: Aldo Bianzino, 44 anni, muore in carcere a Perugia due giorni dopo l’arresto per detenzione di marijuana. L’intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione, con la constatazione sul posto della morte dell’uomo, per “cause naturali”.

Dall’autopsia, il corpo di Aldo Bianzino presentava un’emorragia cerebrale, una lesione al fegato e varie ecchimosi su tutto il resto del corpo.

Tipica morte dovuta a “cause naturali”

14 giugno 2008: Giuseppe Uva, 43 anni, muore durante un fermo dei Carabinieri nel centro della sua città, Varese. L’intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione, con la constatazione sul posto della morte dell’uomo, per “arresto cardiaco”.

Dall’autopsia, il corpo di Giuseppe Uva presentava un’emorragia cerebrale, segni di bruciature alla schiena, alle braccia ed alle gambe, evidenti lividi facciali e varie ecchimosi su tutto il resto del corpo.

Tipica morte dovuta ad un “arresto cardiaco”.

25 luglio 2008: Manuel Eliantonio, 22 anni, muore in carcere a Genova tre mesi dopo l’arresto per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. L’intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, con la constatazione sul posto della morte dell’uomo, per “suicidio”.

Dall’autopsia, il corpo di Manuel Eliantonio presentava lividi facciali, lesioni su varie parti del corpo ed ecchimosi su tutto il resto del corpo.

Tipica morte dovuta ad un “suicidio”.

15 ottobre 2009: Stefano Cucchi, 33 anni, muore in carcere a Roma sette giorni dopo l’arresto per detenzione di marijuana. L’intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione, con la constatazione sul posto della morte dell’uomo, per “malnutrizione”.

Dall’autopsia, il corpo di Stefano Cucchi presentava varie lesioni alla colonna vertebrale, il volto tumefatto, lesioni ad una gambe e varie ecchimosi su tutto il resto del corpo.

Tipica morte dovuta ad alla “malnutrizione”.

3 marzo 2014: Riccardo Magherini, 40 anni, muore durante un fermo dei Carabinieri nel centro della sua città, Firenze. L’intervento si concluse, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, con la constatazione sul posto della morte dell’uomo, per “infarto”.

Dall’autopsia, il corpo di Riccardo Magherini presentava lesioni su varie parti del corpo, il volto tumefatto ed ecchimosi su tutto il resto del corpo.

Tipica morte dovuta ad un “infarto”.

Vede, onorevole Salvini, le forze dell’ordine – il più delle volte – considerano delinquenti tutti gli indagati, sottoponendo questi ultimi a veri e propri metodi di tortura. D’altronde, nel nostro Paese, il reato di tortura non esiste. Anzi, si pratica e basta. Ci manca il ritorno allo schiavismo e buon medioevo a tutti.

Andrea Mavilla.

“MIO MARITO È UN PEDOFILO. VI PREGO AIUTATEMI”. Padre – divorziato – in carcere da innocente.

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Cari amici, 
in questi giorni sta girando un video di un uomo, Tonio Moglie, 40 anni, di cui 2 passati in carcere.

Sapete cosa aveva fatto Tonio Moglie per finire 2 anni in carcere? NIENTE.

La storia di Tonio inizia nel 2010 – proprio quando quest’ultimo decide di separarsi dalla sua ormai ex moglie – Una famiglia normale come tante in cui accade che, dopo la fine di un amore, un marito e padre di 2 figli si trovi accusato di un reato infamante: quello di aver abusato sessualmente dei suoi due figli.

Da quel momento per Tonio inizia un vero e proprio calvario. La moglie – con la complicità di un assistente sociale – riesce ad ottenere una perizia che conferma gli abusi ed i maltrattamenti da parte di Tonio nei confronti dei suoi due figli. 

A questo punto, la donna viene allontanata dal marito è rinchiusa in una comunità protetta insieme ai figli, mentre Tonio viene condotto al piano tre – padiglione Roma – del carcere di Poggioreale.

Dopo circa due anni di reclusione, Tonio Moglie viene assolto con formula piena per non aver commesso il fatto.

I Giudici dalla Corte d’Appello, dopo un  lungo ed estenuante lavoro di interrogatori, intercettazioni e testimonianze, riescono a capire che le accuse della moglie  non solo erano del tutto infondate, ma si  basavano soprattutto sulle sole menzogne costruite dall’assistente sociale. Difatti, quest’ultima aveva falsificato – dietro compenso economico – le dichiarazioni dei bambini, costruendo un piano accusatorio nei confronti dell’uomo.

Vedete, amici, molte donne usano i propri figli come forma di ricatto, arrivando persino a denunciare i loro ex marito di fatti e/o episodi mai accaduti. Questo perché “alcune” donne non accettano la fine della loro relazione, covando odio, ossessioni e vendette che fanno paura. 

Andrea Mavilla.

Fermato dai Carabinieri: “È CADUTO DALLE SCALE”

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Cari amici,
accade che un giovane di nome Gianni Liani, 36 anni, venga fermato dai Carabinieri e tratto in arresto dopo essere stato trovato in possesso di 2 grammi di cocaina.  

Accade anche che il giovane, dopo essere stato portato all’interno della stazione dei Carabinieri, scivoli dalle scale – causandosi in maniera del tutto accidentale – un grave trauma facciale seguito da ecchimosi su tutto il resto del corpo.

A questo punto, il giovane decide di esporre querela contro i 4 scalini, unici responsabili della caduta del giovane, ma il giudice decide comunque di archiviare la posizione dei quattro scalini che a loro volta denunciano il loro accusatore per calunnia e diffamazione.

Ebbene si, questa mattina si è tenuta la prima udienza davanti al Gup Luca De Ninis durante la quale quattro dei carabinieri si sono costituiti parte civile e sono: il maresciallo Eugenio Marino, 53 anni, del comando stazione carabinieri assistito dall’avvocato Roberto Di Loreto; il maresciallo Armando D’Arpino, 44 anni, in servizio nella compagnia di Chieti, e l’appuntato semplice Cristian Paoloemilio, 41 anni, di Pescara anch’egli della compagnia, assistiti dall’avvocato Goffredo Tatozzi, e il maresciallo Luigi De Luca, 40 anni, di Policoro, in servizio nella compagnia dello Scalo, assistituo dall’avvocato Mauro Faiulli. 

I fatti cominciano il 4 febbraio quando i carabinieri fermano un giovane di nome Gianni Liani. Durante il fermo – sostengono i carabinieri – il fermato aggredisce uno dei militari, facendo nascere così una  colluttazione. 

Contraria la versione del giovane che ha denunciato i militari per abuso di potere e lesioni personali. Sembrerebbe che quest’ultimo sia stato vittima di un vero e proprio pestaggio.

Gianni Liani, non appena rientrato a casa ha pubblicato e condiviso su facebook  le sue foto con il viso tumefatto, sostenendo l’abuso subito da parte dei carabinieri.

In ogni caso, a prescindere da questo particolare episodio, è impossibile non notare uno sconfortante dato di fatto: riuscire ad avere un processo imparziale e corretto, quando si tratta di valutare presunte azioni illegali da parte di appartenenti alle Forze Dell’Ordine, è impresa incredibilmente ardua se non del tutto impossibile.

Andrea Mavilla

Chi è STATO a rubare l’oro all’interno del Comando Provinciale dei Carabinieri?

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Cari amici,
per chi non fosse informato, qualche giorno fa, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Forte San Giuliano ha sequestrato e conservato all’interno della cassaforte dello stesso  comando dei carabinieri di Genova, più di un chilo d’oro.

Peccato che quel chilo abbondante di lingotti e lamine d’oro – dal valore stimato, circa 100mila euro – non si trova più.

Sul caso è stata aperta un’inchiesta condotta dallo stesso Comando dei Carabinieri – azione del tutto discutibile –  tant’è che gli stessi militari hanno posto sotto sequestro i loro stessi armadietti… nella speranza di ritrovare l’oro sparito.

Tutti i militari sono stati ascoltati e interrogati dalla Procura di Genova, ma ad oggi non si ha traccia  alcuna dell’oro sequestrato.

La Procura non ha dubbi:  “l’ipotesi più accreditata che possa spiegare la scomparsa dell’oro  è quella di un furto, avvenuto all’interno della caserma stessa. Difficilmente esistono altre spiegazioni.

Come scritto molte volte: nei Carabinieri ci vorrebbe meno omertà e più trasparenza. I colleghi onesti dovrebbero capire che chi abusa della propria divisa potere è un delinquente che andrebbe immediatamente denunciato, isolato, punito e condannato. Questo perché mette in pericolo il lavoro ed il sacrificio di tutti gli altri.

Andrea Mavilla.


Si fa presto a chiamarli CRIMINALI.

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Cari amici,
accade che in un piccolo paesino della Calabria, Palizzi Marina, un comune che conta poco più di 2.000 abitanti, i Carabinieri del posto fermino ed arrestino due “presunti” criminali.

Antonino Sgrò, 32 anni e Giuseppe Cara, 24 anni, vengono arrestati dai Carabinieri dell’Aliquota Operativa del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Bianco e quelli della locale Stazione.

Nei loro confronti ci sono delle accuse gravissime: tentato omicidio, sequestro di persona, rapina, abbandono di persone incapaci ed omissione di soccorso.

Secondo le indagini – sempre svolte dai Carabinieri – nel tardo pomeriggio di sabato 8 agosto, i due giovani avrebbero dapprima fermato e poi costretto un cittadino di nazionalità Indiana a seguirli all’interno del magazzino di un noto locale della movida Palizzese e dal quale era sospettato di aver rubato precedentemente due bottiglie di superalcolici.

Una volta giunti all’interno del magazzino, i due “presunti” criminali avrebbero iniziato ad inveire contro l’indiano, colpendolo ripetutamente con calci e pugni in più parti del corpo, abbandonandolo agonizzante in un terreno poco distante.

Dopo 16 minuti dal loro arresto, le loro facce finiscono su tutte le prime pagine dei principali quotidiani nazionali.

Peccato però che dopo 4 giorni di carcere, Il Gip di Locri, Dott.ssa Caterina Capitò, non solo non ha convalidato il fermo dei due “presunti” criminali, bensì ha disposto l’immediata scarcerazione, sostenendo che nel momento in cui avveniva la presunta aggressione, questi ultimi si trovassero da tutt’altra parte, come confermato dai numerosi testimoni.

Insomma, sembrerebbe che gli inquirenti abbiano svolto delle indagini a dir poco carenti, quasi svolte nell’ottica di fermare e condannare non il COLPEVOLE, bensì dei “presunti” qualsiasi.

Andrea Mavilla.

Multa Questore, SOSPESI DAL SERVIZIO i vigili che parlarono con “Le Iene”

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Serissimo, Sig. Dott. Federico De Siervo, – nonché Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Pescara –  il termine con cui mi rivolgo a lei, “SERISSIMO“, non è del tutto casuale, anzi, è come ho sempre pensato ed immaginato dovesse essere la nostra Giustizia Italiana.

  • Seria: verso i cittadini Italiani. 
  • Seria: verso il popolo Italiano.
  • Seria: nei confronti dei suoi tre Agenti della Polizia Municipale di Pescara, colpevoli e per questo PUNITI, dalla solita “INGIUSTIZIA” italiana.

Sto parlando di Angelo Volpe, Claudio Di Sabatino e Donato Antonicelli, i tre Vigili Urbani sospesi dal servizio- su ordine del loro ComandanteCarlo Maggitti -, per aver “multato e rimosso” l’autovettura del Questore di Pescara, Paolo Passamonti.

Vede, Dott. De Siervo, in un Paese civile, il comandante della polizia municipale, Carlo Maggitti, sarebbe stato rimosso da ogni incarico pubblico e denunciato per abuso d’ufficio.

Dott. De Siervo, lei ha il dovere di ripristinare e dare il giusto peso alla parola “GIUSTIZIA”; per questo le dico che non è necessario – oggi – essere avvocato o magistrato per sapere che la legalità e la giustizia sono lontani dall’essere sinonimi.

Andrea Mavilla.

Mamma, perché mi hai fatto portare qui? Io non sono stato cattivo. Perché mi hai messo in punizione?

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Cari amici,
Marco è un bambino vispo e simpatico. Ha poco meno di 12 anni, i capelli castani, corti e dei bellissimi occhi scuri che raccontano tutto.

Ha solo un piccolo difetto – almeno per gli assistenti sociali che hanno deciso di strapparlo via dalla sua mamma – appena Marco ti vede, con un grande salto, ti si aggrappa alle spalle, ti stampa un grande bacio e poi… incomincia a fare domande.

La sua mamma, Francesca – impiegata statale presso “l’Istituto Scolastico Luciano Manara” – se le visto strappare via dalle due “assistenti sociali” del “Comune di Milano” che l’11 giugno del 2015 sono andate a “sequestrarlo all’interno della sua abitazione”.

Il motivo? Secondo le due “assistenti sociali”, Marco, presentava disturbi comportamentali e/o psicologici, per questo motivo andava allontanato dalla madre e chiuso all’interno di una comunità minorile.

A segnalare il disturbo è stato il “padre” del bambino, nonché ex marito della donna… un uomo che molto probabilmente non ha mai accettato la separazione dalla madre e, per questo, ha preferito strapparlo dalle braccia di sua madre, per poi farlo rinchiudere all’interno di una comunità minorile.

Mamma Francesca, non riesce a trovare alcuna pace, il Giudice del tribunale dei Minori ha disposto che la donna, possa vedere il proprio figlio, solo tre volte al mese e sempre alla presenza di “personale qualificato”.

In tutta questa brutta storia non è stata ascoltata la voce dell’unica vittima, Marco, nonché figlio di Francesca.

Marco, – chiede la madre – come stai qui?

Mamma, perché mi hai fatto portare qui? – esclama piangendo il piccolo Marco – io non sono stato cattivo. Perché mi hai messo in punizione?

Marco, amore della mia vita, io non mi sarei mai permessa a portarti qui. Sto facendo di tutto per farti tornare a casa. Ma qui dicono che io sono una madre cattiva.

Mamma, non è vero che tu sei cattiva… tu sei la mamma più bella e buona del mondo – afferma Marco – chi dice così? Perché non chiedono a me come sei?

Marco, amore della mia vita, ti prometto che darò la mia vita pur di farti tornare a casa. 

Signora, Signora, – urla l’assistente sociale – lei sta turbando il bambino, la devo allontanare immediatamente.

No, – urla Marco – io voglio mia madre, LASCIATELA!!! LASCIATELA!!!

Marco, amore, non fare così, altrimenti dicono che io sono cattiva. Ti prego, non pensare che io ti voglia abbandonare, quello che ti dicono è falso… non credere a tutte queste bugie.

A questo punto, Mamma Francesca viene ammutina ed allontanata dal bambino, in attesa del prossimo incontro.

Vedete, amici, in Italia sono più di 32 mila i bambini che vengono chiusi nelle comunità o dati in affido a un’ altra famiglia. Spesso per cause non del tutto giustificate. Pensate che ogni giorno ne portano via almeno 80, li chiudono per due anni in media in un centro protetto  ed allo Stato costano all’incirca 200 euro al giorno.

Così si moltiplicano le critiche contro assistenti sociali, psicologi e magistrati, i quali effettuano perizie troppo frettolose. Forse andrebbero rivisti i criteri con i quali vengono prese simili devastanti decisioni.

Oggi la mia comprensione va a questa madre distrutta, il mio disprezzo a tutte quelle persone che hanno attivamente causato questo “sequestro” da parte dello Stato.

Andrea Mavilla

CONDANNATO A 16 ANNI DI RECLUSIONE PER ABUSO SUI MINORI. “NON È VERO CHE PAPÀ ABUSAVA DI NOI, FU MAMMA A ISTIGARCI”. I FIGLI RITRATTANO DOPO 15 ANNI. L’UOMO È ANCORA IN CELLA.

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Cari amici,
Michele e Gabriele hanno rispettivamente 21 e 24 anni, sono figli di Ferdinando, 46enne, di origine Sarda, condannato in via definitiva a 16 anni e 2 mesi di carcere per abusi sessuali proprio sui due figli, che all’epoca avevano 9 e 12 anni.

La storia di Ferdinando è la storia di molti uomini, padri di famiglia, accusati ingiustamente da una donna, moglie, la quale ha usato i propri figli – con l’aiuto della legge – per distruggere la dignità di un uomo, marito e padre dei suoi figli.

Michele e Gabriele, anno ritrattato tutto e detto la verità: “non è vero che mio padre ci ha violentati. Quello che io e mio fratello avevamo detto su mio padre erano invenzioni, dettate da mia madre che lo voleva allontanare da noi. Ci dispiace aver distrutto la vita di mio padre, ma eravamo troppo piccoli per capirlo.”

Ci sono voluti non uno, bensì 15 anni prima che i figli di Ferdinando raccontassero la verità e, quindi, far cadere tutte le accuse attribuite all’uomo.

La storia si consumò tra la Sardegna, terra d’origine della famiglia, e Brescia, dove padre, madre e i due figli si erano trasferiti, e dove sono scattate le prime denunce. Fatti avvenuti «nell’ambito di una separazione coniugale e in particolare segnati da un’accesa conflittualità tra genitori e un’aspra battaglia per l’affidamento dei figli», scrivono i giudici del tribunale di Oristano che hanno condannato il padre.

Le indagini mediche non potevano dare certezza sull’abuso, hanno specificato tre periti nominati dai tribunali di Brescia e Oristano. Oggi, mentre il padre è ancora rinchiuso nel carcere di Sassari, i due figli hanno deciso di ripristinare la verità, togliendo quel velo d’infamia al loro genitore.

Agli atti ci sono solo le dichiarazioni di due bambini e nessuna altra prova contro mio padre – racconta il figlio più grande Gabriele – nessuno ci ha mai chiesto di raccontare la nostra verità. Per togliere di mezzo papà, mia madre ha cominciato a imbottirci di menzogne, cose che non erano reali, cose che mio padre non ha mai fatto e non farebbe mai.

La ritrattazione assume il valore di una nuova prova e per questo chiediamo alla Corte d’Appello di Roma la revisione del processo, ha annunciato il legale del padre, l’avvocato bresciano Massimiliano Battagliola.

Vedete, amici, molte donne, mogli e madri di famiglia, usano i propri figli come ricatto nei confronti di uomini, mariti e padri di famiglia, denunciandoli di fatti e/o episodi mai accaduti. Tanto che una volta ottenuto quello che vogliono chiedono di ritirare la denuncia. Ci sono donne respinte, cornificate e poi abbandonate, capaci di covare ossessioni e vendette che fanno paura. Donne incapaci di sentirsi autonome che riservano odio, rabbia e frustrazione nei confronti dei loro uomini, mariti o padri. 

Andrea Mavilla

Tutti vedevano. Tutti sapevano. MA NESUNO PARLAVA.

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Cari amici,
il 4 luglio scorso, tre agenti della Polfer di Lambrate, a Milano, sono stati condannati a pene fino a 12 anni e otto mesi di reclusione perché avrebbero messo in atto per oltre due anni una serie di blitz fuori dalle regole, portando via denaro e droga a immigrati e piccoli spacciatori. 

Gli agenti, secondo quanto ricostruito dai Giudici che hanno portato avanti le indagini e ordinato gli arresti, agivano mentre erano in servizio e, forti del tesserino da poliziotti, sequestrano e derubavano – senza verbalizzare nulla – denaro, droga e oggetti di valore per poi rivendere il tutto a colleghi ed amici.

I Giudici hanno riconosciuto nei loro confronti l’associazione a delinquere, l’abuso d’ufficio, il peculato e la detenzione finalizzata allo spaccio di stupefacenti.

Lo scorso 12 luglio, il Generale Comandante Capo dei Ros Giampaolo Ganzere – e altri 13 carabinieri – tra i quali una serie di sottufficiali in servizio a Bergamo all’epoca dei fatti, sono stati condannati a pene variabili dai 18 anni ai 14 anni di reclusione. 

Gli agenti, su ordine della Procura di Bergamo, sono stati fermati e denunciati per associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Il 10 Agosto scorso, Denis Gobbato e quattro suoi colleghi sono finiti in manette per associazione per delinquere e corruzione finalizzata al rilascio di permessi di soggiorno a stranieri che non ne avrebbero avuto diritto alcuno.

Il 12 Gennao scorso, due agenti della Polizia di Stato, in servizio rispettivamente al commissariato di Frascati e a quello di Roma Aurelio, sono stati arrestati in flagranza di reato mentre stavano rapinando una prostituta nel proprio appartamento nel quartiere Prenestino.

Oltre ai due agenti – ancora in servizio – sono stati fermati e denunciati due ex agenti, già condannati per episodi simili, e tre persone con precedenti, non collegate alle forze dell’ordine.

Gli agenti, secondo quanto ricostruito dai Giudici che hanno portato avanti le indagini e ordinato gli arresti, agivano mentre erano in servizio e, forti del tesserino da poliziotti, portavano via ai malcapitati denaro e oggetti di valore, arrivando addirittura a rubare auto da alcune ville.

L’8 ottobre scorso, tre poliziotti del commissariato di Marcianise, Caserta, sono stati fermati e denunciati per associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, allo spaccio di droga, all’usura, alla truffa, al falso, alla corruzione, alla concussione, alla violenza sessuale e all’abuso d’ufficio.

Vedete, amici, la corruzione è una nemica della nostra amata Repubblica. I corrotti devono essere colpiti senza nessuna attenuante, senza nessuna pietà. E dare la solidarietà, per ragioni di amicizia o di partito, significa diventare complici di questi corrotti e mascalzoni.

Andrea Mavilla

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