Cari amici.
Immaginate di camminare per i fatti vostri, in una fredda e piovosa sera d’inverno. Poco dopo, immaginatevi di finire a bordo di una volante della Polizia con l’accusa di aver abusato di una studentessa che, purtroppo, stava subendo una violenza sessuale non lontano da voi.
A questo punto, immaginatevi dentro la cella di sicurezza di una Questura, dove gli Agenti di Polizia vi indicano come “LO STUPRATORE” e chiedono insistentemente una confessione. Adesso provate ad immaginarvi dentro una cella di massima sicurezza per 3 lunghissimi anni.
Questo è quanto accaduto a Roberto Ruju, 35enne, che venne fermato e successivamente arrestato mentre si stava incamminando verso casa.
La sua colpa? Essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
All’indomani del suo arresto, la notizia rimbalza su quelle trasmissioni di cronaca rosa – pomeridiane – che, senza pensarci un attimo, schiaffano la faccia di Roberto in prima pagina, lasciandolo in balia del solito e retorico linciaggio mediatico.
Per tutti, magari anche per voi, Roberto è stato lo stupratore della studentessa napoletana, violentata brutalmente nell’androne di un vecchio palazzo situato ne centro della città.
Dopo 3 anni di reclusione, gli inquirenti si accorgeranno che l’uomo rinchiuso in carcere non è il vero stupratore. Le telecamere sveleranno che Roberto era troppo distante dal luogo dove – pochi minuti prima – si era consumata la violenza sessuale. Inoltre, il DNA trovato sul corpo della ragazza non combaciava con quello di Roberto.
Purtroppo però, Roberto non è l’unica vittima dell’ingiustizia Italiana.
Qualche mese fa, cinque giovani ragazzi, in provincia di Benevento, furono arrestati e condannati a 6 anni e 3 mesi di reclusione… Se non fosse che dopo qualche mese dalla loro condanna, uno degli inquirenti scoprì un’altra verità. La “presunta vittima di stupro”, in realtà, si prostituiva. Sostanzialmente i rapporti c’erano stati. Anzi, erano stati concordati un’ora prima per telefono.
A Milano, invece, una studentessa canadese di 25 anni a Milano per il progetto universitario «Erasmus», denunciava alla Polizia di essere stata stuprata a bordo di un taxi.
Dopo 2 anni e sei mesi di reclusione, l’autista, un ragazzo di 34 anni, fu assolto da ogni accusa.
La realtà fu ben diversa, la ragazza aveva avuto un rapporto consenziente con il tassista al punto che, prima di salutarsi, il ragazzo le aveva lasciato il suo personale biglietto da visita e la ragazza con la promessa di rivedersi.
Ecco, questi sono solo alcuni dei “centinaia di migliaia” di errori giudiziari. Storie di ordinaria ingiustizia che coinvolgono “presunti colpevoli” dapprima sbattuti in carcere e successivamente rimessi in libertà perché riconosciuti innocenti.
Presunti colpevoli privati della loro libertà e condannati sulla base di soli indizi, confermando così le tante falle che coinvolgono inquirenti – spesso incompetenti – i quali svolgono indagini troppo frettolose.
Difatti, la fretta nelle indagini, l’eccessiva fiducia accordata ai testimoni non sempre attendibili, la troppa importanza data alle presunzioni di colpevolezza e agli indizi sono tra i fattori che predispongono all’errore, ai quali va ad aggiungersi la pressione esercitata dalle solite “trasmissioni televisive pomeridiane” che desiderano ad ogni costo puntare il dito su un presunto colpevole e non IL colpevole.